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Recensioni televisive del 2025
10 Giugno 2025 - 15:05
È quasi estate e Netflix, giusto in tempo, sta rilasciando piano piano nuovi progetti che faranno sentire ogni sorta di emozione. Se vuoi un police thriller drama, c'è Dept.Q - Sezione Casi Irrisolti, se vuoi un drama che mescola teen e comedy c'è Ginny & Georgia, e se vuoi un dark comedy che sembra un thriller ma in realtà non è un thriller, c'è Sirens.
La storia si svolge durante un intenso fine settimana del Labor Day su un'isola elegante, dove si trova l'opulenta residenza dei Kell. La protagonista è Devon DeWitt (Meghann Fahy), una 35enne di Buffalo, appena uscita di prigione per guida in stato d’ebbrezza e in lotta con l’alcolismo, nonché badante del padre affetto da demenza. Devon riceve inaspettatamente un cesto di frutta dalla sorella minore Simone (Milly Alcock), ora assistente personale della misteriosa e affascinante Michaela “Kiki” Kell (Julianne Moore), moglie del miliardario Peter Kell (Kevin Bacon). Incuriosita e arrabbiata per il messaggio criptico, Devon parte per l’isola per riportare Simone a casa e aiutare il padre. Giunta sul posto, scopre una realtà surreale: Simone è immersa nella vita lussuosa della tenuta, circondata da dipendenti, regole rigide e accordi di non divulgazione.
I primi episodi di Sirens partono con una premessa che sembra promettere un thriller psicologico classico: Devon, la sorella maggiore, si reca sull’isola dove vive la minore Simone, coinvolta in una situazione che ricorda una setta. Ci sono tutti gli ingredienti per un mistero avvincente: abbigliamento eccentrico, una villa lussuosa, discorsi enigmatici della leader Kiki (Julianne Moore), un presunto caso di scomparsa e uno staff costretto al silenzio da rigidi accordi.
Eppure, appena si entra nella storia, ci si rende conto che nulla di tutto ciò viene mai realmente sviluppato come un thriller. Anzi, la narrazione sembra quasi voler prendere in giro lo spettatore, lasciando la tensione svanire in un gioco di specchi fatto di falsi indizi e continui depistaggi.
Con il procedere degli episodi, Sirens abbandona le atmosfere da suspense per immergersi in territori più nebulosi, a metà tra la dark comedy e il dramma emotivo. Il mistero centrale, invece di risolversi, si dissolve in una riflessione sui rapporti familiari, sulle fragilità umane e sul desiderio disperato di appartenere a qualcosa o qualcuno.
Devon, con il suo cinismo e la rabbia repressa, diventa il filtro attraverso cui osserviamo questa bolla dorata di apparente perfezione. Tuttavia, anziché portarci a scoperte sorprendenti, la serie si limita a seminare dubbi, lasciando personaggi ambigui e spesso contraddittori, con momenti di tensione che si sciolgono in anticlimax frustranti. Si ha quasi la sensazione che la suspense sia un espediente narrativo e non il vero motore della storia.
Julianne Moore regala una performance elegante e glaciale, incarnando la “falsa guru” Kiki Kell, figura di potere e controllo che però non si lascia incasellare facilmente. Kiki non è la classica antagonista manipolatrice: è una donna intrappolata nelle sue contraddizioni, capace di dominare un microcosmo artificiale ma al tempo stesso fragile e vulnerabile.
Il “mistero” della prima moglie di Peter Kell, invece di essere un colpo di scena, si rivela una delusione anticlimatica: la rivelazione che la donna si sia semplicemente ritirata dopo il divorzio non offre quel brivido che lo spettatore si aspettava, e lascia una sensazione di occasioni mancate. Per non parlare di come Kiki se ne va dopo che Peter la lascia. Se ne va, semplicemente.
Nessun grande confronto, nessuna esplosione drammatica, nessun colpo di scena memorabile: solo un’uscita discreta, quasi svanita, che lascia l’amaro in bocca per la mancanza di una chiusura degna di questo nome. È come se la serie, pur promettendo tensione e mistero, avesse paura di osare davvero, scegliendo invece di mantenere tutto in uno stato di sospensione emotiva che, alla lunga, può risultare frustrante.
Dove Sirens riesce davvero a farsi notare è nel suo sguardo malinconico e ironico sulle dinamiche familiari e sociali. La serie non fa ridere apertamente, ma porta con sé un retrogusto amaro, fatto di battute e situazioni che arrivano “troppo tardi”, in un equilibrio precario tra satira e dolore.
Le scene più riuscite sono quelle in cui, nonostante l’atmosfera surreale, emergono le confuse e umane fragilità dei personaggi: il bisogno di controllo, la fuga, la ricerca di redenzione.
Sirens non è il thriller che promette di essere, né sembra volerlo realmente essere. È piuttosto una storia sulle apparenze, sui giochi di potere nascosti dietro la finzione e sul dolore di chi cerca di rimanere lucido in un mondo che premia l’illusione.
Ma proprio questa ambiguità, che poteva essere una forza, si traduce spesso in confusione e frustrazione per lo spettatore, che rimane sospeso tra attese tradite e un racconto che si perde in se stesso.
Il vero mistero di Sirens non è dove siano finiti i cadaveri, ma se noi, come pubblico, siamo semplici spettatori o anche noi, in qualche modo, prigionieri di quella stessa isola di illusioni.
Voto finale: 7/10
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