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Allarme scabbia in aumento: l’Italia tra i Paesi più colpiti in Europa

Segnalati focolai in scuole, Rsa e ospedali. Dermatologi in allerta: “Emergenza post-Covid, il parassita resiste ai farmaci”

Allarme scabbia:  l’Italia tra i Paesi più colpiti in Europa

Immagine di repertorio

In Italia, come in altri Paesi europei, si registra una crescita fuori controllo dei casi di scabbia. Una patologia considerata da molti superata o lontana, che invece sta tornando a diffondersi rapidamente: in alcune aree del Paese i contagi sono aumentati del 750% nel triennio 2020-2023. Lo confermano recenti ricerche condotte in Emilia-Romagna e Lazio, regioni in cui la malattia è tornata a colpire con particolare forza.

Le fasce più vulnerabili, spiegano i dermatologi, sono giovani e anziani, in particolare coloro che frequentano ambienti comunitari o vivono in contesti sovraffollati. Secondo Giuseppe Argenziano, presidente della Società italiana di dermatologia e malattie sessualmente trasmesse (Sidemast), “le categorie più vulnerabili sono sicuramente bambini e adolescenti tra i 5 e i 18 anni, anche a causa della frequentazione di ambienti comunitari come scuole e palestre. A questi si aggiungono gli anziani, in particolar modo quelli ricoverati nelle Rsa e persone con fragilità sociali o sanitarie. Tra questi i senzatetto, i migranti e chi vive in condizioni di sovraffollamento o precarie condizioni igieniche”.

I dati saranno al centro del congresso nazionale della Sidemast Special Edition 2025, previsto dal 18 al 21 giugno a Roma. La scabbia, causata dall’acaro Sarcoptes scabiei, si trasmette quasi esclusivamente per contatto diretto e provoca un intenso prurito notturno e piccole lesioni cutanee in zone sensibili del corpo. Secondo gli specialisti, la ripresa dei viaggi, le condizioni igieniche compromesse durante i lockdown e l’instabilità in molte strutture sanitarie hanno contribuito alla diffusione.

Un ulteriore elemento critico riguarda l’efficacia dei trattamenti. Come sottolinea Michela Magnano, dermatologa Sidemast, “durante la pandemia, molte persone hanno vissuto a lungo in ambienti chiusi e sovraffollati, condizioni ideali per la trasmissione del parassita e anche il frequente ricambio di pazienti nelle strutture sanitarie ha favorito il contagio. Ma pare avere giocato un ruolo importante anche una 'possibile' resistenza ai farmaci: in particolare alla permetrina, il trattamento topico fino a poco tempo fa più utilizzato nel nostro Paese”.

Alla base di queste difficoltà possono esserci altri fattori, avverte l’esperta, “come l'uso non corretto della terapia topica od orale in termini di quantità di principio attivo e/o modalità e/o tempi di somministrazioni, la mancata o errata messa in atto di misure igienico-ambientali e le reinfestazioni dovute al mancato trattamento dei contatti stretti”.

Tuttavia, alcuni studi hanno mostrato che l’acaro potrebbe essersi adattato al principio attivo più usato, portando a trattamenti inefficaci. “I fallimenti alla permetrina – prosegue Magnano – sembrerebbero poter essere attribuiti a un'effettiva resistenza alla terapia, dato che i trattamenti topici utilizzati in seconda linea (come il benzoato di benzile) sono stati efficaci, escludendo pertanto fattori legati alla non corretta applicazione della crema”. Un fenomeno che, secondo gli esperti, è stato rilevato anche in Paesi come Germania, Regno Unito, Spagna e Turchia.

I dermatologi invitano quindi a prestare attenzione ai segnali: prurito notturno persistente, lesioni localizzate tra le dita, sui polsi o nella zona ombelicale. In questi casi è essenziale rivolgersi a un medico e, in caso di diagnosi confermata, seguire una terapia adeguata e coinvolgere tutti i contatti stretti per evitare nuove infezioni.

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