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Politica Internazionale
14 Giugno 2025 - 17:26
Non è bastato cambiare i protagonisti: a sette anni dal fallimento del G7 di Charlevoix, la storia si ripete. Il summit in Alberta parte già con un punto fermo: nessuna dichiarazione finale congiunta. Troppi disaccordi, soprattutto su dazi, Ucraina e Medio Oriente. E Donald Trump, ancora una volta, è al centro del caos.
Nel 2018 firmò il comunicato solo per sconfessarlo su Twitter poche ore dopo, accusando Trudeau di essere “debole e disonesto”. Oggi la rottura arriva prima ancora dell’inizio. Nessuno si aspetta un’intesa vera. La presidenza canadese si limiterà a un riepilogo formale e a sette mini-dichiarazioni separate. Un compromesso al ribasso che fotografa perfettamente la crisi del multilateralismo occidentale.
La linea degli Stati Uniti è sempre più distante da quella degli altri leader. E il G7, di fatto, torna a essere un G6+1.
Anche per l’Italia la situazione è complicata. Il governo Meloni fatica a nascondere l’imbarazzo per la deriva trumpiana, ma prova a ritagliarsi un ruolo con una dichiarazione sul contrasto al traffico di migranti. Un tema che Roma conosce bene e che rilancia il lavoro avviato a Borgo Egnazia. Il testo è stato proposto dall’Italia con il supporto di Stati Uniti e Regno Unito. Si parla di intelligence condivisa, indagini congiunte e confisca dei beni illeciti, in linea con il modello “follow the money”.
Nel background preparato per la stampa, però, si evita accuratamente di parlare del mancato comunicato finale. L’unico “successo” rivendicabile è la continuità con la presidenza italiana del G7. Ma è chiaro che si tratta di un risultato parziale, in un vertice segnato più dalle fratture che dai passi avanti.
Il programma ufficiale resta fitto: economia globale, sicurezza, geopolitica, migrazione, energia. Martedì atteso anche l’intervento di Zelensky, con la sessione sull’Ucraina allargata alla Nato. Ma il contesto è quello di un’alleanza divisa, dove ognuno gioca per sé.
Il G7 del 2025 rischia di essere ricordato non per le sue decisioni, ma per la sua impotenza. E per un ritorno – inquietante quanto prevedibile – al caos firmato Trump.
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