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Dietro le quinte del potere: com’è cambiato lo Studio Ovale da Kennedy a Trump

Tende dorate, busti cancellati e tappeti patriottici: ogni presidente ha trasformato l’ufficio più famoso d’America in un manifesto politico

Dietro le quinte del potere: com’è cambiato lo Studio Ovale da Kennedy a Trump

La scrivania è sempre la stessa — la celebre Resolute Desk, dono della regina Vittoria nel 1880. Ma attorno a lei, ogni cosa cambia. Tende, moquette, busti, quadri, divani. Cambia la luce. Cambia il messaggio. Cambia l’America.

Nel cuore della Casa Bianca, lo Studio Ovale è da decenni il teatro simbolico del potere statunitense. E ogni presidente lo ha trasformato in un ritratto della propria idea di Paese.

Ecco allora un viaggio nella storia recente degli Stati Uniti attraverso il design di un solo ufficio. Perché lo Studio Ovale è tutto tranne che neutro.

Eleganza sobria, stile Georgetown: Kennedy fu il primo presidente a usare con strategia l’immagine dello Studio Ovale. Il busto di Lincoln, i quadri navali e una sobria palette grigio-blu riflettevano la sua eredità militare e il gusto raffinato della first lady Jackie. La scrivania Resolute tornò protagonista, simbolo di continuità e coraggio.

Potere pragmatico, zero estetismi: Johnson mantenne lo stile di JFK, ma aggiunse una linea più funzionale. Il telefono rosso era sempre a portata, insieme a un monitor TV integrato nel tavolo. Più Oval Office, meno salotto.

Patriottismo hollywoodiano: Nixon optò per uno Studio Ovale teatrale: moquette gialla brillante, tendaggi oro, l’aquila al centro del tappeto. Messaggio? L’America è forte, imperiale, al centro del mondo. Peccato per lo scandalo Watergate.

Ritorno all’ordine, stile sobrio: Ford semplificò: colori neutri, toni beige e una forte presenza di simboli istituzionali. Dopo Nixon, serviva rassicurare, non stupire.

Il contadino alla Casa Bianca: Carter si affidò a un look rustico, rilassato, privo di orpelli. Tolse il tappeto con l’aquila, mise una moquette neutra e decorò con paesaggi americani. Un presidente “vicino al popolo”, anche nell’arredo.

Cowboy col jet privato: sotto Reagan lo Studio Ovale diventa un set western elegante: moquette beige, aquile dorate, quadri del West. Tornano i busti di Lincoln e Roosevelt. Il potere si veste di tradizione, ma con carisma da star.

Eleganza austera e familiare: Bush senior mantenne lo stile Reagan, ma lo ammorbidì. Colori più freddi, foto di famiglia, una scrivania spoglia: l’ufficio come luogo di lavoro più che di scena.

Il liberal classico: tappezzeria color burro, moquette blu con aquila centrale, librerie piene. Clinton curò molto i dettagli culturali, come la presenza di Franklin e Jefferson. Un tocco di charme per un presidente comunicatore.

L’America post-11 settembre: Bush riportò in auge i toni caldi: crema, bronzo, rosso. Forte presenza di simboli patriottici, statue di cowboy, quadri dell’ovest americano. Dopo l’11 settembre, l’Ovale divenne un bunker simbolico.

Minimalismo cosmopolita: moquette color grano, tendaggi sobri, busto di Martin Luther King, citazioni di Lincoln. Obama progettò uno Studio Ovale elegante, contemporaneo, simbolicamente inclusivo. Via il busto di Churchill, dentro la cultura afroamericana.

L’epoca dorata: tendaggi oro, tappeti chiari, busto di Churchill reintegrato, bandiere militari ovunque. Trump trasformò lo Studio in una sala del potere monarchico. Aggiunge anche il “bottone della Coca Cola”. Più che uno studio, un trono.

Empatia e storia: tendaggi oro, ma meno brillanti. Il busto di Cesar Chavez accanto a Lincoln e Rosa Parks. Quadri di Franklin e FDR. Biden cercò una narrazione unificante, inserendo simboli della lotta sociale e della democrazia.

Il ritorno: niente compromessi, Trump ristabilisce il suo stile: moquette chiara, tende dorate, busto di Jackson. Rimuove Chavez e Kennedy. Aggiunge la bandiera Space Force. Messaggio: “L’America siamo noi. Di nuovo.”

Non è solo questione di gusto. Ogni scelta d’arredo è una dichiarazione di visione, potere e narrazione. Lo Studio Ovale è uno spazio dove l’estetica diventa propaganda, e dove ogni presidente plasma la scenografia del proprio mandato.

Cambiano i colori, ma il messaggio resta: qui, si costruisce la storia.

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