Cerca

Curiosità

L’America non ha mai dimenticato Lady Diana

Collezioni, aste, moda e affetto eterno: perché negli USA la leggenda di Diana è ancora più viva che mai

L’America non ha mai dimenticato Lady Diana

Quando si pensa a icone planetarie, poche figure sono paragonabili alla principessa Diana. Eppure, negli Stati Uniti l’affetto per “the People’s Princess” ha sempre avuto un’intensità speciale: per il pubblico americano, la giovane donna che aveva scosso Buckingham Palace sembrava unire la magia della monarchia alla spontaneità di una star di Hollywood. Diana, insomma, incarnava l’idea di una regalità alla portata di tutti.

Il culto dei cimeli: un mercato a stelle (e corone)

Questo entusiasmo non è solo emotivo. Molti dei più appassionati collezionisti di memorabilia legate a Lady D vivono proprio oltre Atlantico, dove aste e boutique specializzate continuano a macinare cifre da capogiro. Tra i pionieri del settore spicca Alicia Carroll: ex attrice di "General Hospital" – la stessa soap in cui si conobbero i genitori di Meghan Markle – che nel 1981 decise di aprire un negozio dedicato ai ricordi reali. L’intuizione fu vincente: negli anni, Carroll ha venduto di tutto, dalle lettere d’amore scritte a James Hewitt fino a… ritagli di unghie di Diana, totalizzando incassi milionari.

Sulla stessa scia naviga la casa d’aste Julien’s Auctions di Darren Julien. Nel 2020, per esempio, il californiano Bob Goldsand ha comprato da Julien un gold record di Paul McCartney; nella stessa sessione si è aggiudicato anche un braccialetto indossato da Diana, regalo per la moglie, grande fan della principessa. Prova ulteriore che il fascino di Lady D, a distanza di decenni, resta un investimento emotivo … e finanziario.

Un armadio “made in USA”

A cementare questa liaison con l’America c’era lo stile inconfondibile di Diana. Il suo guardaroba strizzava l’occhio alla moda statunitense molto più di quanto facessero i tradizionali tailleur Windsor: stivali da cowboy, felpe della NFL, baseball cap, giacche decorate con stelle e strisce. Ogni outfit suggeriva – con elegante ironia – una certa simpatia per la cultura d’oltreoceano, quasi un piccolo atto di ribellione alle etichette di corte.

 

Non stupisce quindi che, nel 1995, durante una cerimonia in cui riceveva un premio umanitario, qualcuno dal pubblico le avesse proposto di trasferirsi negli States. Un’idea che, pare, Diana avesse davvero valutato, immaginando una nuova vita a New York.

Dal sogno di Diana alla scelta di Harry e Meghan

La storia ha poi aggiunto un curioso capitolo: anni dopo, suo figlio Harry e la moglie Meghan hanno compiuto il grande passo lasciando Londra per stabilirsi in California. Alla base, dissero, c’era l’esigenza di proteggere il proprio benessere mentale e di trovare uno stile di vita più vicino alla loro sensibilità. Meghan ha raccontato di aver faticato a comprendere le rigide consuetudini reali – perfino il gesto di Harry che doveva inchinarsi alla nonna regina le appariva anacronistico. In quella distanza culturale, la coppia ha visto l’occasione di una nuova partenza sulle coste del Pacifico.

L’eredità transatlantica di Lady D

Forse la grandezza di Diana sta proprio qui: essere stata la prima a conciliare due mondi tanto diversi, la solennità di Buckingham Palace e la spontaneità glamour di Beverly Hills. Oggi, negli Stati Uniti, gli oggetti a lei appartenuti continuano a cambiare mani, le sue foto riempiono mostre e social, e i racconti sulla sua vita restano best-seller.

In fondo, l’America ha trovato in Lady D il perfetto equilibrio tra favola reale e star-system. E, a giudicare dal fervore che ancora circonda ogni suo ricordo, quel legame è destinato a brillare a lungo – come le luci di Broadway riflesse sulla tiara più amata del mondo.

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Logo Federazione Italiana Liberi Editori L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.