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Lifestyle e lavoro
26 Giugno 2025 - 14:25
In Italia, la ricchezza viaggia a due velocità. Basta spostarsi di qualche centinaio di chilometri — o anche solo cambiare provincia — per assistere a un cambio netto di scenario economico: da territori dove il reddito medio pro capite supera abbondantemente i 50.000 euro lordi all’anno, a zone dove si sopravvive con meno di 12.000 euro. Un divario che non è solo geografico, ma sistemico: si riflette nell’accesso a servizi, infrastrutture, lavoro e opportunità.
A tracciare questa frattura sociale è l’ultimo rapporto pubblicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che analizza le dichiarazioni Irpef e Iva relative al 2023. I dati, elaborati dal Corriere della Sera, offrono una fotografia nitida dei 10 comuni italiani in cui si guadagna di più.
A dominare la classifica è Portofino, perla della Liguria affacciata sul Golfo del Tigullio, con un reddito medio lordo dichiarato di 94.505 euro. Una cifra che riflette anche la presenza di residenze esclusive e personaggi dell’alta finanza o dello spettacolo.
Secondo posto per Lajatico, piccolo borgo toscano della provincia di Pisa noto per essere il paese natale di Andrea Bocelli, che vanta una media annua di 61.980 euro.
Al terzo posto troviamo Basiglio, hinterland di Milano, con 50.807 euro.
A seguire, completano la top 10:
Solonghello (AL): 44.049 euro
Cusago (MI): 42.406 euro
Torre d’Isola (PV): 41.519 euro
Segrate (MI): 40.049 euro
Milano: 38.989 euro
Pino Torinese (TO): 38.951 euro
Arese (MI): 38.787 euro
Il quadro che emerge è chiaro: la Lombardia domina la classifica, seguita da Piemonte, Liguria e Toscana. Milano, pur essendo una metropoli con forti diseguaglianze interne, si conferma tra le città con redditi più elevati.
Se al Nord la concentrazione di ricchezza è evidente, il Sud fatica ancora a tenere il passo. Intere province — soprattutto in Calabria, Sicilia e Campania — registrano redditi pro capite tra i più bassi del Paese. In alcuni comuni, la media annuale non arriva neppure a 12.000 euro, segnale di un tessuto economico fragile e ancora poco valorizzato.
La frattura non riguarda solo i numeri, ma anche la qualità della vita: servizi pubblici, mobilità, sanità, opportunità lavorative e istruzione contribuiscono a disegnare un’Italia divisa, dove nascere in un comune o in un altro può fare tutta la differenza.
Le classifiche, per quanto indicative, non raccontano tutta la storia. Dietro le medie si nascondono diseguaglianze interne, patrimoni concentrati in poche mani e intere fasce di popolazione ai margini, anche nei comuni più ricchi.
La presenza di VIP o grandi contribuenti in piccoli centri può alterare le statistiche, ma non cancella la domanda di fondo:
perché, a distanza di decenni, la forbice tra chi ha molto e chi ha poco continua ad allargarsi?
Una questione che chiama in causa scelte politiche, investimenti pubblici e modelli di sviluppo capaci — o meno — di colmare quel gap che ancora oggi separa due Italie: quella che prospera e quella che arranca.
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