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Scienza della musica
30 Giugno 2025 - 11:15
Immagine creata con AI
C’è chi ascolta una canzone. E chi la vede.
Può sembrare una stranezza da film, e invece è una realtà neurologica affascinante: si chiama sinestesia, ed è un fenomeno che trasforma l’esperienza sensoriale in qualcosa di straordinariamente complesso e creativo.
Chi vive con la sinestesia può associare un colore a una nota musicale, sentire un sapore ascoltando una parola, o vedere numeri e lettere come forme colorate. Non è fantasia né poesia: è una condizione neurologica reale, studiata dalla scienza da oltre un secolo e mezzo.
Il termine deriva dal greco syn- (“insieme”) e aisthesis (“sensazione”). Si parla di sinestesia quando la stimolazione di un senso attiva in automatico anche un altro. Un sinesteta non “immagina” un colore ascoltando una canzone: lo percepisce con la stessa naturalezza con cui noi vediamo il blu del cielo.
Una delle forme più comuni tra i musicisti è la cromestesia, ovvero la capacità di vedere colori in risposta ai suoni. È più diffusa di quanto si pensi: si stima che almeno il 4% della popolazione abbia una qualche forma di sinestesia, anche se molti non lo sanno nemmeno.
Tra i più noti musicisti contemporanei con sinestesia ci sono:
Pharrell Williams, che vede colori e texture nei suoni: «Ogni nota ha una temperatura, un colore, una forma. Questo mi guida quando produco», ha raccontato.
Billie Eilish e suo fratello Finneas, che associano accordi e parole a colori. Per Billie, per esempio, una canzone “giusta” deve “suonare verde scuro”.
Hans Zimmer, il celebre compositore di colonne sonore (da Inception a Il Principe d'Egitto), ha parlato in più interviste del suo modo sinestetico di percepire la musica: per lui, ogni suono ha una forma e una luce. Questo lo aiuta a costruire paesaggi sonori visivi, pensati per dialogare con le immagini sullo schermo.
Lorde, che descrive i suoi album in termini cromatici: «Per me 'Melodrama' è una stanza blu e viola con pareti trasparenti».
Kanye West, che ha detto di vedere colori esplosivi nei suoni e ha basato gran parte dell’estetica di Graduation su queste percezioni.
Anche in passato, grandi nomi come Franz Liszt o Duke Ellington usavano un linguaggio sensoriale che oggi si riconduce alla sinestesia. Durante le prove orchestrali, Liszt diceva ai musicisti: «Suonate più blu!», e sapeva esattamente cosa intendeva.
Per molti artisti, la sinestesia è un linguaggio parallelo che arricchisce la loro capacità di comporre e produrre. Non si tratta solo di un’estetica bizzarra, ma di un modo concreto di costruire armonie in base a immagini visive, stati emotivi e combinazioni sensoriali.
«Quando lavoro a un brano», ha detto Pharrell, «cerco il suono che “abbia senso” nel mio mondo visivo. Se mi appare come una linea arancione brillante, allora so che sto andando nella direzione giusta».
Per Billie Eilish, l’unità sensoriale è fondamentale: se la melodia, il testo e il “colore” della canzone non coincidono nella sua percezione, non funziona. E per Hans Zimmer, la sinestesia è lo strumento che lo aiuta a “sentire l’immagine ancora prima di scrivere la musica”.
Molti si chiedono se la sinestesia sia una forma di superpotere artistico. La scienza non si sbilancia: per ora, la considera una variante naturale della percezione umana, non un disturbo né un dono. Ma nel mondo della musica — dove l’astrazione sensoriale è tutto — potrebbe essere la chiave di un linguaggio segreto che solo alcuni riescono a sentire. O a vedere.
E allora, la prossima volta che ascolterete una canzone che vi sembra azzurra, o che ha un retrogusto “metallico”, sappiate che non siete soli. Forse, senza saperlo, state percependo il mondo come un sinesteta.
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