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Arte
30 Giugno 2025 - 15:35
C’è chi li vede solo come cagnolini buffi, con quel passo basso e sicuro, le orecchie pendenti e lo sguardo da filosofi stanchi. Ma nella storia dell’arte contemporanea – e non solo – i bassotti hanno spesso ricoperto ruoli sorprendenti: simboli, compagni, muse. Piccoli protagonisti di una narrazione estetica che attraversa decenni, stili e geografie.
Uno degli esempi più eclatanti arriva dall’Australia, dove l’artista Bennett Miller ha scelto di rappresentare l’intero Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite… con dei bassotti. Il progetto si intitola Dachshund UN e trasforma una seduta diplomatica in una scena surreale: 47 cani al posto dei delegati. Dietro l’umorismo visivo, si cela una riflessione utopica – quasi infantile nella sua semplicità – sull’idea di giustizia universale, e su quanto sia fragile, tenera, forse anche comicamente inadeguata la nostra capacità di organizzarla.
Del resto, Miller non è nuovo a incursioni simili: lo aveva già fatto trasformando la Guerra del Golfo in un percorso di minigolf, tra ironia e dissacrazione. Ma con i bassotti ha colpito un nervo più profondo. Non solo per l’assurdità della messa in scena, ma per la scelta di una razza che, nella sua varietà di colori e proporzioni, diventa paradossalmente specchio delle diversità umane.
Anche l’artista David Capra, sempre australiano, aveva trovato nei bassotti una compagna d’arte. La sua si chiamava Teena, e non era solo un cane salvato per strada, ma un’estensione della sua pratica. Capra l’aveva portata con sé perfino sul palco del TEDx di Sydney, dove ha raccontato il legame affettivo come un gesto artistico: Teena era diventata medium e simbolo, presenza viva che rende l’opera condivisa e vulnerabile anche oltre la morte.
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Quella tra artisti e bassotti, però, è una storia antica. Picasso visse per anni con Lump, un bassotto che fu più di un animale da compagnia: nei suoi occhi il pittore spagnolo vedeva riflessi i contrasti dell’animo umano. Anche David Hockney trovò nei suoi due bassotti – Stanley e Boodgie – dei veri soggetti pittorici, dedicando loro decine di quadri e un’intera pubblicazione (Dog Days), come se la loro semplice quotidianità racchiudesse qualcosa di profondamente lirico.
Nel mondo del modernismo, il bassotto è apparso tanto nelle scene domestiche di Pierre Bonnard quanto nei collage dadaisti di William N. Copley. Persino Andy Warhol ne ha immortalato uno: Maurice, il cane della golfista e collezionista Gabrielle Keiller, è entrato nella storia dell’arte sotto forma di serigrafia pop.
E poi ci sono i bassotti dinamici e futuristi di Giacomo Balla, le forme che si allungano e si moltiplicano in Dinamismo di un cane al guinzaglio – forse uno dei più iconici ritratti canini della storia moderna. E se Ruthie, il cane sdraiato nella neve di Franz Marc, non era tecnicamente un bassotto, poco importa: l’affetto, la contemplazione, l’intimità che vi si leggono sono le stesse.
Forse è proprio questo il segreto del loro fascino: nella loro fisicità insolita eppure familiare, i bassotti ci ricordano che l’arte non ha bisogno di eroi per parlare al cuore. Basta un corpo allungato, due occhi profondi e la capacità di restare, silenziosi, accanto a chi crea.
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