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Cent’anni di Camilleri: quando il dialetto diventò letteratura

Dalla voce di Montalbano alla lingua degli affetti, l’eredità dello scrittore che dimostra che il dialetto non è passato di moda

Cent’anni di Camilleri: quando il dialetto diventò letteratura

Nel centenario della nascita di Andrea Camilleri, è uno studio a confermare quanto il dialetto resti un elemento imprescindibile della cultura nazionale. Per quasi 9 italiani su 10, infatti, rappresenta un pilastro dell’identità collettiva, capace di legare memoria, emozioni e tradizione.

Camilleri e la lingua degli affetti

Nato a Porto Empedocle il 6 settembre 1925, Camilleri ha cambiato il destino della narrativa italiana. Con lui, il dialetto ha smesso di essere confinato al folklore ed è diventato strumento letterario a pieno titolo. La sua scrittura, che unisce siciliano e italiano, ha dato vita al commissario Montalbano e a uno stile immediatamente riconoscibile, dove la lingua degli affetti diventa veicolo di autenticità.

I numeri della ricerca

Secondo un’indagine di Excellera Intelligence per Audible, l’85% degli italiani conosce lo scrittore siciliano e il 71% ammette di aver avuto difficoltà con la sua lingua mista. Eppure, l’89% considera il dialetto un bene culturale fondamentale, mentre il 79% lo vede come un ponte tra generazioni. Solo il 15% lo percepisce come superato, e quasi la metà (46%) pensa che sia ancora appannaggio soprattutto degli anziani.

Il dialetto nella vita quotidiana

Lontano dall’essere solo ricordo del passato, il dialetto continua a vivere soprattutto in famiglia e tra amici: il 55% lo usa in casa e il 49% nelle conversazioni informali. Serve a rafforzare espressioni intraducibili, a rendere più vivaci le battute (42%) o a esprimere emozioni intense (34%). Come ricordava lo stesso Camilleri, è “la lingua del cuore, intima e confidenziale”.

Differenze generazionali e geografiche

Le nuove generazioni hanno maggiore familiarità con l’inglese che con la parlata regionale (6,9 contro 5,9), ma con l’età la tendenza si ribalta: gli adulti conoscono meglio il dialetto (6,7) rispetto all’inglese (4,6). Anche le aree geografiche incidono: nel Nord-Ovest prevale l’inglese, ma nel resto d’Italia, soprattutto al Sud e nelle Isole, è il dialetto ad avere la meglio. Tra i più apprezzati spiccano il romanesco (39%), il napoletano (38%), il toscano (31%), il siciliano (24%) e il romagnolo (22%).

Una tradizione letteraria che continua

Accanto a Camilleri, altri grandi autori hanno saputo trasformare i dialetti in linguaggio d’arte: Trilussa con la satira in romanesco, Eduardo De Filippo con il teatro in napoletano, Carlo Porta con il milanese, Pasolini con il friulano e Dario Fo con i dialetti lombardi e il grammelot. La scelta di scrivere in dialetto non è un orpello folcloristico, ma un modo per trasmettere autenticità, ritmo e musicalità. Non a caso, il 67% degli italiani auspica un ritorno del dialetto nella conversazione quotidiana e il 54% sarebbe favorevole a introdurlo a scuola.

Un patrimonio da valorizzare

Nonostante l’interesse, i contenuti in dialetto restano marginali: solo il 3-4% li utilizza regolarmente. Tuttavia, il 64% degli italiani pensa che gli audiolibri possano aiutare a comprenderli meglio, mentre l’86% li considera un mezzo efficace per preservare la cultura regionale.

Il dialetto, dunque, non è soltanto memoria del passato: è uno strumento vivo, capace di raccontare il presente e rafforzare i legami comunitari. Camilleri lo ha reso letteratura di successo, altri lo hanno portato su palchi teatrali o dentro la poesia. E oggi, tra nostalgia e curiosità, gli italiani sembrano pronti a riscoprirlo come lingua che unisce più di quanto divida.

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