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L'inchiesta
07 Luglio 2023 - 08:52
Sono tornate le "bande del Rolex" (immagine d'archivio)
Un’auto rubata nella villa di un calciatore e poi usata per sfondare la vetrina di una banca. Poi un furgone “prelevato” vicino Milano e utilizzato per razziare a Torino: solo due episodi con tratti in comune fra di loro, cui se ne aggiungono molti altri che le forze dell’ordine stanno mettendo in fila. Le indagini sono in corso ma c’è l’ipotesi che dietro questi colpi ci siano una o più bande organizzate e convinte che Torino sia la “cassaforte” ideale da svuotare a botte di migliaia di euro per volta. Una convinzione condivisa con le bande che, dal Sud, arrivano in Piemonte per rapinare gioielli e orologi di lusso ai malcapitati.
I campioni e la banca
Al centro delle indagini c’è una cassaforte vera: il 6 giugno un gruppo di almeno sei ladri ha colpito alla Compass di corso Grosseto, sfondando la vetrina con il Range Rover Velar rubato quattro giorni prima nella villa di Kaio Jorge, calciatore della Juventus. Poi hanno caricato la cassaforte della finanziaria su un furgone, rubato pure quello.
Sono scappati ma, al termine di un inseguimento arrivato fino in tangenziale, hanno dovuto mollare entrambi i veicoli: il furgone subito, il Suv qualche giorno dopo a Venaria Reale. E la polizia li ha setacciati nella speranza di trovare impronte utili per risalire ai responsabili. E capire se questa banda sia la stessa che ha colpito nelle ville di altri “Paperoni” torinesi: manager, industriali, politici oltre a calciatori della Juve come Kaio Jorge, Di Maria, Vlahovic e Kean (l’ultimo in ordine di tempo, il 19 giugno).
Una serie di furti e rapine che continua da mesi e che ora spinge gli investigatori a valutarne i punti di contatto: dai mezzi rubati agli obiettivi, che fanno pensare come Torino sia vista come bersaglio ideale.
Non solo Paperoni
Ma questo metodo, con mezzi rubati e usati come un ariete, non sta riguardando solo i torinesi benestanti.
Negli ultimi giorni risultano altre tre vetrine sfondate di attività commerciali: la più eclatante è stata al “Bside Climbing Park” di via Ravina, palestra di arrampicata assaltata da un gruppo di malviventi mascherati.
Un colpo da pochi spiccioli, come quelli commessi nel bar Risto Cafè San Giorgio di via Pianezza 212 (il 27 giugno) e nel ristorante Ventuno di via Gressoney 21/A (il giorno dopo).
Eppure, dietro questi colpi, c’è una pianificazione: nella palestra la banda ha colpito con un furgone che aveva rubato in Lombardia. E spesso gli obiettivi sono strategici perché sistemati lungo le principali vie d’accesso (e di fuga) della città-cassaforte.
In moto per strappare Rolex
Poi ci sono i banditi che arrivano dal sud e si fermano a Torino per cinque giorni, una settimana lavorativa a tutti gli effetti. Ma non sono normali pendolari: sono rapinatori che si spostano in moto e pattugliano avanti e indietro corso Vittorio Emanuele II, corso Moncalieri, corso Casale e corso Regina Margherita. Fino a quando non riconoscono orologi e gioielli di valore addosso agli automobilisti che incrociano sulla loro strada.
Farebbero parte di queste bande anche i quattro motociclisti che, alle 13 di domenica, hanno seguito un 86enne torinese. Lo hanno accerchiato in strada Val Pattonera, in collina, e gli hanno portato via una collana d’oro e un Rolex Daytona, orologio valutato 30mila euro e di una collana d’oro.
La vittima ha chiamato la polizia, che ora sta indagando sull’episodio. La speranza sta soprattutto nelle telecamere di sorveglianza della zona, utili almeno per risalire alle moto.
La tecnica utilizzata in questa rapina è simile a numerosi altri episodi avvenuti a Torino e in altre città. Dietro ci sarebbero questi “rapinatori in trasferta” che vengono dal Sud Italia e “lavorano” nelle principali del Nord. O magari tentano fortuna all’estero, in Spagna o Francia. E al ritorno si fermano a Torino nella speranza di incrementare il bottino. E puntano proprio orologi di pregio, che possono essere smerciati facilmente e portare guadagni elevati.
Questi ultimi episodi riportano al novembre 2018, quando gli uomini della squadra mobile stavano dando la caccia ad alcuni noti rapinatori di orologi di lusso, in trasferta da Napoli a Torino. Il giorno 16 era in corso un inseguimento in via Madama Cristina. Auto di ordinanza e macchine civetta stavano rincorrendo due scooter: uno guidato da Nunzio Giuliano, appartenente alla nota famiglia di Forcella (Napoli) e figlio del pentito Guglielmo; l’altro da Raffaele Stolder, 33 anni, rampollo dell’omonimo clan.
Durante la fuga, l’auto civetta guidata da un agente si era scontrata con lo scooter di Giuliano, che era caduto a terra ed era finito contro una Ford ferma all’angolo con via Petrarca. Poi era finito al Cto in prognosi riservata ed era morto il 30 dicembre 2018.
La famiglia aveva sostenuto che fosse colpa della polizia ed era stata aperta un’inchiesta, condotta dal pm Enzo Bucarelli. Il quale, dopo aver richiesto una perizia tecnica, aveva chiesto l’archiviazione. Poi, nonostante l’opposizione dei parenti di Giuliano, il giudice Alessandra Pfiffner ha archiviato il caso.
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