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Il retroscena

Due agenti e oltre 2.500 euro per rimpatriare uno straniero

Il sindacato di polizia Fsp: «Pattugliare il mare e distruggere i barchini»

L'aeroporto di Caselle, a Torino

L'aeroporto di Torino Caselle

Un conto è dire “rimandiamo i migranti a casa loro”, un conto rimpatriarli effettivamente. Lo dicono la storia e l’esperienza, con una cronica carenza di uomini, la drastica mancanza di accordi bilaterali con i Paesi d’origine. Ma lo dicono anche i numeri, certificati dalla Corte dei Conti, che ha quantificato la cifra spesa dall’Italia per i rimpatri effettivi, fermi al 20% di coloro che hanno ricevuto un decreto di espulsione. Secondo i giudici contabili, intervenuti con una deliberazione a giugno 2022, tra il 2018 e il 2021, a fronte di 107.368 provvedimenti di espulsione, quelli effettivamente eseguiti sono stati soltanto 21.366. Con un costo enorme, che tra il 2018 e il 2021 si è attestato a 27,4 milioni di euro, serviti per rimpatriare poco più di 5mila persone l’anno.


Il viaggio di un migrante, dunque, costa in media 2.500 euro. Cifra che si raggiunge considerando il prezzo dei voli e quello del lavoro degli agenti, che devono essere almeno due (salvo i charter allestiti ad hoc) per ogni persona trasferita al proprio Paese. I biglietti, (cinque per ogni tratta, dato che i poliziotti devono tornare a casa), non sono l’unico costo alla voce trasporti. Perché non sempre c’è un volo diretto per un determinato Paese vicino alla città di partenza, e quasi sempre si devono raggiungere Milano, Roma o Gorizia prima di decollare.

E allora occorre provvedere a di cibo e albergo per i servizi di scorta, con poliziotti che talvolta sono costretti a straordinari disumani. Come è accaduto il 18 settembre. «I colleghi del V Reparto mobile aggregato in Molise - ricostruisce Luca Pantanella, vice segretario nazionale del sindacato di polizia Fsp - hanno preso servizio alle 22 e hanno finito il turno alle 19 del giorno dopo, rinunciando alla cena, tanto erano esausti».


La scorta doveva accompagnare da Porto San Gervasio un gruppo di peruviani e tunisini in partenza da Roma Fiumicino. Ma i primi si sono imbarcati senza problemi, «mentre un tunisino ha dato in escandescenze, si è ferito, cucito la bocca e poi ha detto di aver ingoiato delle lamette. Così l’hanno portato in ospedale, e l’epulsione, ovviamente, è saltata». Un caso singolo, come ce ne sono tanti. E una questione, quella delle espulsioni e più in generale sull’immigrazione, su cui l’Fsp ha scritto al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Spiegando che i flussi hanno «raggiunto numeri mai raggiunti prima», con un fenomeno «fortemente destinato ad aumentare se non intervengono mutamenti operativi e giurisprudenziali». Con questa premessa, il sindacato denuncia «l’aumento dei casi di violenza e delinquenza su tutto il territorio nazionale di immigrati che da soli o per conto della criminalità organizzata non essendosi integrati nel rispetto delle condizioni civili gravano sulla pacifica convivenza e mettono a dura prova tutto il sistema sicurezza, tanto che possiamo affermare che oltre il 70% degli interventi delle nostre pattuglie vede coinvolti immigrati spesso irregolari».

A ciò va aggiunta «la grave carenza di personale che è via via diminuito negli anni e che diminuirà precocemente nei prossimi tre anni a causa dei massicci pensionamenti che sono alle porte e che pertanto portano oggi ad avere una Polizia di Stato con poco personale giovane e con numeri in discesa». L’Fsp, allora, chiede di «tentare una diversa strategia per bloccare i flussi e renderli ordinati e fruibili solo per chi ne ha necessariamente diritto». Imponendo «un pattugliamento congiunto delle coste nord africane e quindi nei territori di appartenenza in modo da bloccare le partenze, sequestrare e distruggere i barchini, proprio come si è già fatto per il flusso che avvenne dall’Albania nel corso degli anni ‘90».

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