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il delitto di via san massimo

Il pentito di camorra ai vicini: «Sono un ex operaio Fiat»

Ecco cosa raccontava agli inquilini l'uomo che ha ucciso a martellate Massimo Lodeserto

Il killer Nino Capaldo viveva in via San Massimo 33

Il killer Nino Capaldo viveva in via San Massimo 33

Un camorrista sul pianerottolo. Peccato che in via San Massimo 33 nessuno conoscesse l’oscuro passato di Nino Capaldo, l’uomo fermato dai carabinieri per l’omicidio di Masssimo Lodeserto, scomparso il 30 agosto scorso e ritrovato l’altro ieri in una delle cantine del condominio a due passi dalla Mole, ammazzato a colpi di martello. «Capaldo viveva qui da luglio, lo vedevo la mattina ma non avevamo confidenza», ricorda Mario Fasoglio, da vent’anni residente in via San Massimo. «Ci limitavamo a dirci “ciao”, senza poi scambiare altre parole, anche perché io qui dentro mi faccio i fatti miei vista l’aria che tira». E l’aria che tira non è buona in via San Massimo, visti gli inquilini che abiterebbero lo stabile. «Qui è un ghetto, abbiamo avuto assassini, drogati, alcolizzati, gente che dava fuoco alle porte o che lanciava i pezzi di marmo dal quarto piano. Sembra che tutto lo “schifo” di Torino venga mandato in questo posto», sentenzia un inquilino che però il suo nome non lo vuole dire. «Per carità, abito qui da 40 anni, se parli male di qualcuno poi hai solo problemi in questo condominio».

Problemi che però ai suoi vicini Nino Capaldo non sembra avere mai dato. Anzi i condomini lo descrivono come un tipo che dava poca confidenza. Viveva al piano rialzato, in un alloggio ora sotto sequestro, e usciva a prendere caffè e sigarette in un bar della via. Oppure si concedeva delle passeggiate ai vicini giardini Cavour. Ai condomini con cui parlava più spesso diceva «che aveva lavorato in Fiat, e che era in via San Massimo temporaneamente perché la sua vera abitazione era in via Giolitti. Tuttavia - racconta Mario, un inquilino - nelle ultime settimane lo vedevamo andare spesso su e giù per le cantine. Non capivamo il perché. Io gli chiedevo se aveva dei problemi col contatore, ma lui mi rispondeva che era tutto a posto».

Insomma, qualcosa di strano nel comportamento di Capaldo i suoi vicini lo avevano notato eccome. Certo, mai avrebbero pensato che quell’uomo, calvo e corpulento e piuttosto taciturno, nascondesse un passato di Camorra - con una condanna in Cassazione a 15 anni, nel 2019 - dal quale si è pentito per diventare collaboratore di giustizia ed essere inserito in un programma di protezione e finire a Torino. Aveva una pagina Facebook, Capaldo, non molto aggiornata perché l’ultimo post è del settembre 2022 ed è una foto di Sabrina Ferilli. Single e residente a Pistoia, le uniche informazioni fornite nella descrizione social. Foto di grigliate, immagini con la nipotina in braccio, oppure di macchine e cavalli (due sue grandi passioni, insieme alla Juve).

Eppure dietro quel mondo all’apparenza normale si celava un passato criminale. Classe 1966 e originario di Frattamaggiore, Capaldo era un elemento di spicco del clan Gagliardi-Fragnoli, operante a Mondragone. Arrestato per omicidio e occultamento del cadavere del corriere della droga Edokpa Gowin, detto “Nokia”, avvenuto a Villa Literno il 27 maggio 2014, è stato condannato nel 2015 a 15 anni in quanto mandante ed esecutore materiale dalla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere. Corte che aveva condannato all’ergastolo il suo complice, Giuseppe De Filippis, anche lui affiliato al clan Gagliardi-Fragnoli. Nel gennaio 2019, la Cassazione mise la parola fine a quel delitto, confermando le pene. Ed era stato proprio Capaldo, fermato con la pistola dell’omicidio e prima che i carabinieri scoprissero il cadavere di “Nokia”, a raccontare tutto e a far arrestare De Filippis. Diventato collaboratore di giustizia, Capaldo era stato inserito nel programma speciale di protezione e, da Roma, trasferito a Torino. Ospite appunto in via San Massimo, in un alloggio della comunità di Sant’Egidio. Da agosto, e proprio alla fine di quel mese ha avuto l’accesa lite con Lodeserto. Lite finita nel sangue, per la quale il 57enne, assistito dall’avvocato Antonio Di Micco, ha già confessato. In procura il fascicolo è stato affidato al pm Marco Sanini e l’udienza di convalida potrebbe già esserci oggi. Quel maledetto 30 agosto, Lodeserto è stato preso a martellate e scaricato nelle cantine. Quelle stesse cantine in cui il killer, a detta degli stessi condomini «andava un po’ troppo spesso».

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