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IL CASO
07 Gennaio 2024 - 20:03
Senzatetto a Torino
Alcolismo, droga, problemi psichiatrici. Chi ha a che fare tutti i giorni con le storie dei senza tetto ne avrebbe da raccontare. Al di là degli stereotipi su chi dorme in strada e oltre gli speculatori, che pure sottraggono attenzioni a chi ha realmente bisogno. «La maggior parte dei clochard che vivono a Torino sono di origine straniera. C’è una grossa comunità romena, ad esempio, che ha forti problemi di alcolismo» ci racconta un commissario del comando di polizia locale che preferisce rimanere anonimo. «I nord africani presentano spesso problemi di tossicodipendenza - prosegue il commissario -. Ma osserviamo che nell’ultimo periodo il crack ha preso a circolare molto anche tra i senza tetto italiani. Dopotutto, costa poco e crea molta dipendenza». E poi ci sono gli psichiatrici. «Persone per cui servirebbero aiuti costanti e professionalità che mancano nei dormitori». Vigili e operatori sociali questi problemi li conoscono tutti e li monitorano costantemente. Sicuramente loro li vedono. Ma non basta.
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Quanti sono?
Secondo le ultime stime disponibili sarebbero circa 2.500 i senza fissa dimora a Torino. Nel censimento vengono contati, nel loro complesso, tutti coloro che vertono in gravi difficoltà economiche e sono venuti in contatto con i servizi che si occupano di emergenza abitativa. Un nuovo censimento nazionale è in programma per il prossimo anno. «Dopo il Covid la situazione è cambiata» commentano dalla Caritas. Peggiorata, temiamo noi.
Il sindaco Lo Russo manda avanti Rosatelli
E la politica cosa fa? Il sindaco di Torino Stefano Lo Russo non commenta e manda avanti il suo assessore al Welfare Jacopo Rosatelli - agguerrito - nel difendere ciò che è stato fatto fin qui, ma altrettanto franco nell’ammettere che ancora molto c’è da fare. «Questo è il terzo inverno consecutivo in cui aumentano i posti del “piano freddo” a disposizione delle persone che dormono in strada, anche in collaborazione con l’Arcidiocesi - rivendica l’assessore -. Con un’offerta sempre più diversificata volta a superare il modello del grande dormitorio notturno di via Traves verso strutture più piccole e accoglienti, con aperture anche in orari diurni nelle zone centrali della città».
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Di fronte poi all’alto numero di persone che nonostante le diverse possibilità che gli vengono offerte decidono di restare in strada poi Rosatelli pone l’accento su problemi di dipendenze e salute mentale. Da qui l’invito rivolto direttamente al Sistema Sanitario Nazionale a prendere in cura coloro che sono più in difficoltà. «Due anni fa in Prefettura abbiamo firmato un protocollo di azioni integrate con Regione Piemonte ed Asl ma, ad oggi, il contributo del sistema sanitario stenta a vedersi» denuncia Rosatelli e passa la palla alla Regione. Ma non solo: «Il fenomeno degli homeless, comune a tutte le grandi città, ci dice molto della necessità di investimenti economici più forti a livello europeo e nazionale per contrastare la povertà estrema» chiosa l’assessore. La crisi, specie dopo la pandemia, morde sempre più forte e il rischio è quello di andare «verso una società di radicali diseguaglianze “all’americana“» denuncia ancora Rosatelli.
Il vescovo non ci sta
Non meno preoccupato l’arcivescovo di Torino, Roberto Repole, che pure non perde l’occasione per ricordare che non è un uomo solo al comando. «È l’intera Chiesa torinese a vedere con preoccupazione l’emergenza delle persone che dormono sotto i portici e al ciglio delle strade» premette. «La comunità cristiana è appunto una comunità, che il vescovo presiede garantendo la sua vocazione caritativa - va avanti -. Forse conviene sapere che, a differenza di altre istituzioni, la Chiesa non funziona secondo la logica del leader che fa tutto». Quella torinese poi «si sempre adoperata e ancora si adopera con molte iniziative concrete, per cercare di portare assistenza e accoglienza: aiuto materiale, ma anche amicizia, che riduca la distanza fra la città e queste persone così povere e sole». In questo senso la Caritas mette a disposizione otto dormitori oltre a due centri diurni, la grande e la Piccola Sosta. Luoghi sicuri dove gli ultimi trovano ristoro. Non più invisibili.
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