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Il caso Stellantis

John Elkann: "Il nostro impegno per l'Italia". Ma quanto ha guadagnato con i francesi?

I retroscena dell'incontro con Mattarella e Giorgetti, i bilanci e il costo dello Stato nel capitale sociale

John Elkann: "Il nostro impegno per l'Italia". Ma quanto ha guadagnato con i francesi?

John Elkann incontra a Roma il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e garantisce: "Continuiamo il nostro impegno per l'Italia" e per i progetti discussi al tavolo del ministero dell'Industria, dove l'altra settimana si è parlato soprattutto di incentivi. Dunque, dopo aver smentito le voci di una fusione con Renault, il presidente di Stellantis - per quanto si sia detto che gli incontri romani erano in agenda da tempo - pare aver voluto rassicurare direttamente il Capo dello Stato. Anche se non si può non notare che, se avesse voluto un "incontro al vertice", forse avrebbe incontrato la premier Giorgia Meloni, che nella giornata di ieri - dopo i recenti attacchi e la risposta del ceo Carlos Tavares -, ha ribadito di aver trovato "bizzarre" le parole dell'amministratore delegato, e mandato un messaggio al Gruppo: gli incentivi ci sono, ma non riguardano "un produttore solo". Quanto alle politiche estere del Gruppo, "non si dica che si tratta di vetture italiane".

Ben più di una staffilata, quindi. Che ripropone il dilemma di sempre: Stellantis, una multinazionale che ha lo Stato francese nel suo capitale azionario, può ancora essere considerata un marchio italiano, al di là della presenza dei suoi stabilimenti? Di certo, per la Exor di John Elkann, che detiene il 14,4% di Stellantis, la fusione con i francesi è stato un vero affare. Vediamo perché.

IL BILANCIO DI QUATTRO ANNI

Nonostante, anni fa, Sergio Marchionne fosse contrario a una alleanza con i francesi, preferendo puntare alla General Motors, alla sua scomparsa John Elkann indirizzò i suoi sondaggi in terra di Francia, per la costituzione di un gruppo industriale-finanziario che fosse globale. Dapprima tentò con Renault, poi trattò con la famiglia Peugeot di Psa, alla cui guida c'era Carlos Tavares, che proprio da Renault era stato licenziato.

Il 18 gennaio del 2021 è il giorno della prima quotazione in Borsa della neonata Stellantis. A oggi, quattro anni dopo, Stellantis vanta - in attesa dei risultati di esercizio che verranno comunicati la prossima settimana - un fatturato di 190 miliardi di dollari. Dalla prima quotazione in Borsa, con una capitalizzazione che supera i 68 miliardi, Stellantis ha guadagnato circa il 65%, vale a dire una creazione di valore per gli azionisti di 25 miliardi di euro, oltre 8 all'anno.

Exor, che detiene oltre il 14% delle quote societarie, ha visto passare il proprio valore da 6,2 miliardi a 10 miliardi, con un guadagno netto di 3,7 miliardi in tre anni. I francesi di Peugeot, che sono a poco più del 7%, sono passati da 3 miliardi a 4,7 miliardi. Lo Stato francese, che era già nel capitale sociale di Psa e ora lo è per il 6,4% - tramite la banca di investimenti statale Bpi - anche in Stellantis, ha aumentato il proprio valore da 2,7 a 4,3 miliardi di euro.

Alcune voci, nonostante la smentita recente dello stesso John Elkann su fusioni con Renault - in cui, di nuovo, lo Stato francese ha il 15%, stessa quota del costruttore Nissan - o altri costruttori, insinuano che la missione romana del nipote dell'Avvocato Agnelli fosse legata a un ingresso dell'Italia nel capitale sociale Stellantis. Ma quanto costerebbe all'Italia?

L'ITALIA IN STELLANTIS

Come detto, lo Stato francese, tramite Bpi, detiene il 6,1% del capitale di Stellantis e il 9,6% dei diritti di voto, grazie a una partecipazione di tre anni che ha fatto scattare la cosiddetta clausola "loyalty". Analogamente aveva già fatto Exor e così la famiglia Peugeot, l'altro grande azionista. Per l'Italia, acquistare un 6,1% del capitale costerebbe circa 4,1 miliardi di euro, ma dovremmo aspettare tre anni per ottenere lo stesso peso di voto della Francia.

Ma se volessimo avere immediatamente lo stesso peso, dovremmo acquistare il 9,6% delle azioni sul mercato. Questo costerebbe sulla carta 6,5 miliardi di euro, una cifra che non tiene conto della difficoltà di acquisire in un solo giorno una quota del genere. 

Mentre il ministro Adolfo Urso nei giorni scorsi si è detto aperto all'idea di un investimento dello Stato italiano, il vicepremier Matteo Salvini ha espresso opposizione, ricordando i numerosi interventi di aiuto dello Stato alla Fiat e ai suoi successori. In compenso, il ministro Giancarlo Giorgetti, nei giorni scorsi, alla domanda ha precisa ha risposto "Piuttosto valuterei di entrare in Ferrari". Che, per inciso, ha chiuso l'ultimo bilancio con un utile record oltre il miliardo di euro. E, a Roma, oltre al governatore di Bankitalia, John Elkann ha incontrato proprio Giorgetti, che sovrintende alle Finanze.

UN ALTRO PRESTITO?

Bisogna tuttavia ricordare che il ministero di Giorgetti sovrintende alla Sace, il gruppo assicurativo-finanziario partecipato dallo Stato che, nel 2020 in piena pandemia, utilizzando le norme del Decreto Liquidità, diede la garanzia statale a Fca per un maxi prestito di 6,3 miliardi di euro da parte di Intesa Sanpaolo. Prestito che poi, a fusione avvenuta con Psa-Peugeot e la nascita di Stellantis, il gruppo restituì con grande anticipo sui tempi. In pratica, Fca aveva potuto affrontare la fusione - il reciproco acquisto di azioni con Psa - senza intaccare la propria liquidità. 

Fusione, o ingresso dell'Italia nel proprio capitale, in ogni caso per non perdere il proprio peso in società, Exor dovrebbe rastrellare altre azioni sul mercato, con un esborso considerevole. Potrebbe farsi finanziare in qualche modo questa operazione? E l'Italia cosa ci guadagnerebbe? Inoltre, siamo sicuri che la Francia consentirebbe all'Italia di arrivare a contare allo stesso modo nel consiglio di amministrazione e negli indirizzi delle scelte industriali?

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