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Ambiente & Marketing

Arriva la Nutella Vegana, ecco cosa cambia (e perché non è come sembra)

Il Gruppo strizza l'occhio al vegan capitalism eliminando i prodotti di origine animale, ma risparmia (e deforesta) con l'olio di palma

Arriva la Nutella Vegana, ecco cosa cambia (e perché non è come sembra)

Elaborazione della Nutella Plant Based

La data è stata rivelata: la Nutella Vegana sarà presentata il prossimo 3 settembre, a Milano (chissà poi perché). Un colpo di mercato da parte di Giovanni Ferrero, alla guida del Gruppo di Alba (ma con sede e radici finanziarie in Lussemburgo) praticamente a costo zero e che, di fatto, non cambierà assolutamente nulla. Una strizzata d'occhio ai nuovi mercati e un pizzico di "vegan washing". Vediamo di che si tratta.

La Nutella Plant Based, il cui brevetto è stato depositato nei giorni scorsi, nella realtà sarà sempre la stessa crema spalmabile alle nocciole e cacao ma priva di ingredienti di origine animale. Nel caso specifico, il latte. La ricetta originale della crema Ferrero, infatti, è questa: nocciole (13%), cacao magro (7,4%),zucchero (56%), olio di palma (19%), latte scremato in polvere (6,6%), siero di latte in polvere, emulsionanti lecitine, vanillina. La versione vegan, dunque, eliminerà quel 6,6% di latte, sostituendolo probabilmente con latte di soia

Per il resto, una confezione adatta - con indicazione sull'etichetta - e forse un tappo di colore verde e l'operazione di marketing sarà servita (con poca spesa: tutti noi che ne parliamo già adesso stiamo facendo, di fatto, promozione gratuita. Ecco perché qui faremo un poco di fact checking). Anche la Ferrero, quindi, si sposa in direzione di quello che viene definito il "vegan capitalism", ossia una attenzione delle imprese verso un pubblico - o mercato - sensibile ai temi della vita animale. Mercato redditizio, soprattutto dal punto di vista dell'immagine. Un "vegan washing", in realtà, perché una vera versione vegana, o rispettosa della vita animale, dovrebbe eliminare ben altro ingrediente.

Si tratta dell'olio di palma, considerato - e non per niente messo al bando da parecchi produttori, almeno in teoria - un vettore di deforestazione, a causa della coltivazione intensiva, in aree geografiche come Malesia e Indonesia. Deforestazione che, a sua volta, spiega il WWF, sta contribuendo allo spopolamento degli orangutan, divenuti ormai una specie in pericolo. Non molto cruelty free, dunque. Ma l'olio di palma ha pur sempre una sua ragione d'essere, per un produttore: costa meno del burro di cacao, usato per esempio per altre creme spalmabili analoghe sul mercato (e persino più economiche). Ma il brand è inimitabile e da solo vale circa 1,7 miliardi di euro. Non si diventa per niente l'uomo più ricco d'Italia...

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