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LA NOTIZIA
27 Settembre 2024 - 09:28
Sostenibilità. Circolarità. Consumo responsabile. Parole che ormai le aziende usano come accessori di moda, da sfoggiare a ogni stagione. Ma cosa succede quando dietro questi claim si nasconde solo marketing ben confezionato? È la domanda che si sta ponendo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aprendo un’indagine su Shein, gigante cinese del fast fashion, accusato di greenwashing.
Sì, perché mentre il brand vende abiti a prezzi stracciati, vantandosi di impegno ecologico, la sua credibilità rischia di sfilarsi come una cucitura mal fatta. L’Antitrust vuole capire se le sue promesse di sostenibilità siano solo un’operazione di facciata, per attirare consumatori sempre più attenti all’ambiente, o se davvero dietro quei prezzi imbattibili ci sia anche una coscienza green.
EvoluSHEIN e le “fibre verdi”: promesse o realtà? Uno dei punti critici dell’indagine riguarda la collezione “evoluSHEIN”, che Shein pubblicizza come sostenibile. La domanda è: quanto lo è davvero? Secondo l’AGCM, le informazioni sono vaghe. Le fibre dichiarate “green” non si sa bene quanto lo siano, né viene spiegato se i capi sono riciclabili o no. In un’epoca in cui la trasparenza è tutto, non fornire dettagli precisi equivale a confondere il consumatore, convincendolo di fare una scelta responsabile, quando forse non lo è affatto.
A peggiorare il quadro c’è il modello di business di Shein, basato sull’“ultra fast fashion”, un sistema che produce capi a velocità record, alimentando un ciclo di consumo frenetico. L’AGCM sottolinea come questa modalità non solo contraddica le promesse di sostenibilità, ma contribuisca a un “consistente incremento delle emissioni di gas serra”. Tradotto: il fast fashion non è green, nemmeno quando si sforza di sembrarlo.
Il dilemma del marketing “eco-friendly” Quello che emerge da questa vicenda è una riflessione più ampia sul marketing “verde” che tante aziende adottano. La sostenibilità non può essere solo una strategia per aumentare le vendite. Non basta lanciare una collezione con un nome eco-friendly o inserire qualche slogan ambientalista qua e là. Come ha ribadito anche Roberto Rustichelli, presidente dell’Antitrust, “la sostenibilità deve tradursi in azioni concrete e verificabili”, non in etichette di facciata.
Shein, con il suo modello di fast fashion aggressivo, sembra più concentrato a cavalcare il trend del green che a cambiare davvero il proprio impatto ambientale. Ed è qui che si gioca la partita. L’istruttoria dell’AGCM andrà a fondo delle promesse ecologiche del colosso cinese, e nelle prossime settimane sapremo se dovrà rivedere la sua strategia o se potrà continuare a venderci l’immagine di brand “responsabile”.
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