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La crisi dell'automotive
18 Ottobre 2024 - 07:20
Su una cosa John Elkann ha ragione: all'Italia e a Stellantis stessa serve Fiat. Perché il vecchio e glorioso brand è ancora il più venduto in Italia, con buona pace degli altri pieni di nuove tecnologie, di full electric e piani ambiziosi. Per questo appare paradossale che, il giorno dopo il suo discorso - di cui un estratto, quel "le polemiche strumentali non servono", compare nelle bacheche in fabbrica, all'hub Sustainera -, debba venire fuori che, a fabbriche ferme o a capacità ridotta in Italia, Stellantis abbia disposto l'aumento della capacità produttiva in Marocco.
Si tratta dello stabilimento di Kenitra, storico caposaldo Peugeot in Africa, dove è stata mandata la Fiat 500 che in Europa non si può più produrre, assieme alla Fiat Topolino. E dove andrà probabilmente anche la futura Multipla, sorella "maggiore" della Grande Panda che viene prodotta in Serbia.
A dirlo è Confindustria Basilicata, con le preoccupazioni del caso per lo stabilimento di Melfi. Che a Kenitra si voglia creare un polo produttivo doppio rispetto a quello attuale è risaputo, così come conosciamo le logiche per cui un produttore globale come Stellantis voglia - debba - dislocare vari siti anche nei Paesi a basso costo.
Ci chiediamo - sapendo che certi dubbi sono ben insinuati anche nello stesso board di Stellantis - se a questo punto non ci sia stato un errore nel piano industriale, con le scelte compiute nel recente passato. Perché quest'anno Stellantis si fermerà a un terzo del desiderato milione di auto. Perché il rallentamento della produzione continuerà. In particolare, ma non ci sono ancora conferme ufficiali, Mirafiori lavorerà pochi giorni a novembre e avrà un lungo periodo di ferie forzate a dicembre. Poi, nel 2025, dovrà riprendere basandosi - in attesa della Ibrida - sugli ordini della Fiat 500 elettrica.
Esiste la sensazione che Fiat - Grande Panda e derivate a parte, ché è un progetto a lungo termine - sia in ritardo rispetto all'evoluzione di altri brand, che manchi anche di un altro modello. Magari costruito su piattaforme del socio cinese Leapmotor, per economizzare e variare in corsa il piano industriale stesso. La storia di Fiat parla per lei. E di tanta storia, restano ancora quelle imprese - il 35% del panorama nazionale - che vivono di automotive con 70mila lavoratori. Che per saltare sul treno prima che le travolga - per citare Tavares - hanno bisogno di aiuto. Non di semplici incentivi per l'acquisto di modelli che, spesso, chi li ha fabbricati non si può permettere. La vera riflessione, al prossimo Tavolo sull'Automotive, dovrebbe essere questa.
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