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CURIOSITA'
26 Ottobre 2024 - 15:00
Nel vasto panorama delle interfacce grafiche moderne, una caratteristica spicca per la sua capacità di evocare memorie e oggetti del passato: le icone. Questi piccoli simboli, un tempo familiari, oggi si ergono a rappresentanti di funzioni digitali. Pensiamo, ad esempio, al floppy disk, icona di salvataggio che molti utenti giovani potrebbero non riconoscere nemmeno. Ma perché ricorriamo a oggetti ormai obsoleti per descrivere il nostro mondo digitale? La risposta è intrinsecamente legata al concetto di scheumorfismo.
Il termine "scheumorfismo", con radici greche che significano "strumento" e "forma", si riferisce a un oggetto che richiama, per aspetto o dettagli, un altro oggetto più familiare. Prendiamo ad esempio le lampade di plastica a forma di candela o i copricerchioni delle auto che imitano i raggi di una ruota: design che sfida la logica della funzionalità pura, in nome di un’estetica evocativa.
A volte, questo principio decorativo serve a conferire un aspetto più pregiato agli oggetti moderni. Altre volte, è una strategia di marketing che mira a rendere il nuovo più accessibile attraverso l'associazione con ciò che è già noto. Non sorprende che l'approccio scheumorfico sia alla base di molte interazioni digitali quotidiane, dove le icone delle app richiamano oggetti fisici. La cornetta del telefono o il calendario da tavolo, ad esempio, ci conducono indietro nel tempo, mentre utilizziamo tecnologie all’avanguardia.
L’origine del termine risale al 1889, quando il medico e archeologo Henry Colley March lo coniò per descrivere manufatti antichi che conservavano caratteristiche di oggetti più vecchi. Da allora, il concetto è evoluto, abbracciando un'ampia gamma di applicazioni, dalla progettazione grafica all'architettura. Elementi decorativi dell'architettura greca e romana, come il triglifo, servivano a richiamare strutture di legno ormai scomparse, mentre i moderni ponti, come il Sydney Harbour Bridge, adottano stili del passato per un impatto visivo.
Nel contesto della tecnologia digitale, il dibattito sullo scheumorfismo ha guadagnato vigore. Durante gli anni 2000, molti designer privilegiavano interfacce grafiche ricche di dettagli, ma questo approccio è stato messo in discussione, dando spazio a visioni più minimaliste. La rivista The Economist ha persino fatto notare che molte icone non sono realmente scheumorfismi, ma piuttosto “metafore visive” che richiamano oggetti fisici senza esserne eredità diretta.
Oggi, parliamo di interfacce scheumorfiche come una tendenza visiva in software che emulano oggetti fisici. I programmi di sintesi musicale, ad esempio, riproducono l’estetica di strumenti reali, creando un’interazione nostalgica per gli utenti. In un mondo in cui la tecnologia avanza a passi da gigante, è affascinante come gli oggetti del passato continuino a influenzare le nostre esperienze digitali, ricordandoci che, in fondo, ogni innovazione porta con sé un pezzo di storia.
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