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L'INTERVISTA
09 Febbraio 2025 - 08:22
Una bozza di riforma sulla Medicina Generale che porterebbe i medici di famiglia a lavorare come dipendenti del Servizio sanitario nazionale. La proposta nasce dalla necessità di rendere operative le 1350 case di comunità con fondi del Pnrr. I cittadini dovrebbero trovare dei medici di famiglia o specialisti a disposizione dalle 8 del mattino alle 20 di sera. Le ore di lavoro settimanali per i medici di famiglia diventerebbero 38.
ROBERTO VENESIA
Secondo il dottore, nell’eventualità dove questa riforma diventi legge, a pagare le spese più alte saranno i pazienti perchè «ad oggi i cittadini hanno potere di scelta su ben poco. Resta loro la legge 833 del 1978, quella che prevede l’esprimere la preferenza verso un medico piuttosto che un altro».
Venesia ha le idee chiare: «Passare da libero professionista a dipendente significa aumentare i costi sostenuti dalla Sanità e metterci nella condizione di sottostare a degli orari. Ora praticamente ogni medico lavora autonomamente e ha modo di coprire più ore di quello che farebbe un dipendente. Mi spiego meglio: oggi il medico di base può prestare servizio in ambulatorio, andare a fare delle visite al domicilio, sbrigare le pratiche burocratiche in orari extravisita».
Ma non solo: Venesia sottolinea che praticamente tutti i medici di base (2800 circa quelli che sono in Piemonte) hanno uno studio e che «i liberi professionisti hanno costi come l’affitto dei locali, il personale quale assistenti e/o segretari, attrezzatura, utenze. Se dovessimo venire messi tutti in strutture, le Case di comunità, tutti i nostri studi e collaboratori che fine fanno?»
E parlando di liste d’attesa, grande “cancro” con cui quotidianamente i pazienti si misurano, attendendo anche più di un anno per quelle che sono le visite specialistiche? Non può essere l’intramoenia la soluzione definitiva «Con le Aft si migliora da subito l’accessibilità dei pazienti agli studi medici, si potrà incrementare la presa in carico domiciliare, l’adesione vaccinale, fornire opportunità per proporre in futuro la diagnostica di primo livello e concorrere così all’abbattimento delle liste d’attesa» conclude Venesia.
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