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Nutella

61 anni di Nutella: l’invenzione italiana che ha fatto il giro del mondo (e non è mai uscita di moda)

Dal 1964 a oggi: come un barattolo nato nelle Langhe ha conquistato il pianeta diventando icona pop, simbolo dell’Italia e comfort food universale

61 anni di Nutella: l’invenzione italiana che ha fatto il giro del mondo (e non è mai uscita di moda)

Non è solo cioccolato e nocciole, è il sapore di un’epoca. È Nutella, ed è appena nata.
Sessant’anni dopo, quel barattolo non è invecchiato di un giorno. È cambiato il packaging, è cambiata l’etichetta, sono cambiati i formati. Ma quel nome lì — Nutella — è rimasto scolpito nella memoria collettiva come un rifugio sicuro, una carezza spalmabile, da spalmare sul pane.
È il 20 aprile 1964, quando da uno stabilimento di Alba, nelle Langhe piemontesi, esce il primo vasetto di Nutella. Un’icona globale in miniatura, contenente non solo una crema spalmabile al cacao e nocciole, ma anche una visione, un’idea di benessere, una promessa dolce al palato e alla società.
Quel barattolo, esagonale e modesto, era molto più di un semplice prodotto alimentare: era un manifesto. Un messaggio indirizzato al ceto medio in ascesa, che chiedeva accessibilità, gusto, e la sensazione di essere finalmente parte di un mondo che si stava aprendo al consumo di massa.

La Nutella non nasce nelle stanze patinate della grande industria, ma nel cuore di una guerra. È figlia della scarsità, del genio di Pietro Ferrero, che per aggirare la pesante tassazione sul cacao sceglie la nocciola, umile frutto delle Langhe, come ingrediente chiave. Nasce così il Giandujot, poi la Supercrema, infine quella formula perfetta ribattezzata Nutella dal figlio Michele. Un nome che sa di internazionale, di futuro, di morbidezza.

Dal panetto da tagliare al vasetto da spalmare, la Nutella evolve con il Paese. Si adatta al ritmo delle cucine operaie e dei salotti borghesi. Si infiltra, con la discrezione di una rivoluzione silenziosa, nel rito quotidiano della colazione, della merenda, del cucchiaio rubato di nascosto.

Nutella è molto più di un marchio: è il dolce della mobilità sociale. È l’equivalente alimentare di una Fiat 500: economica, democratica, desiderabile. A differenza della cioccolata svizzera, lusso da vetrina, Nutella si fa trovare sugli scaffali del supermercato e sulle tavole delle famiglie che stanno imparando il valore del “possedere”.

È anche un prodigio di marketing ante litteram: branding, packaging, storytelling. La famosa etichetta con la fetta di pane diventa un simbolo di semplicità e godimento. Non c'è bisogno di orpelli, di orologi d’oro, di camicie inamidate. Bastano pane e Nutella per sentirsi uguali.

Ne parleranno filosofi, sociologi, musicisti. Robert Castel la usa come metafora dell’uguaglianza possibile. Perché, in fondo, se tutti mangiamo la stessa crema spalmabile, non siamo più così diversi.

Eppure, qualcosa cambia. Col tempo, la Nutella segue le curve dell’economia. La famiglia bread-winner si sbriciola, le certezze salariali vacillano, e il cucchiaino si fa solitario. Le vaschette monodose raccontano la nuova era del consumo individualista, disgiunto dai riti collettivi. La Nutella diventa anche distinzione: tra chi può permettersi il bio, chi critica l’olio di palma, e chi non ha tempo per leggere le etichette.

Nonostante tutto, la magia non si spegne. A distanza di 61 anni, la Nutella è ancora lì. Nei supermercati di 160 Paesi, nei cuori di generazioni intere, nei ricordi di pomeriggi spensierati e dita appiccicose. È la madeleine della globalizzazione, il filo che unisce bambini e adulti, boomers e Gen Z, italiani e americani, nostalgici e minimalisti.

Nel frattempo, Ferrero è diventata una delle multinazionali più solide del pianeta, senza mai tradire l’anima familiare. Dietro a ogni vasetto, rimane quella pasticceria di via Rattazzi, il coraggio della semplicità, l’ingegno del “fare di necessità virtù”.

E allora oggi, 20 aprile, celebriamo un barattolo. Ma in fondo celebriamo molto di più: un sogno al gusto di nocciola, spalmato sulla storia.

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