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la discoteca abbandonata
13 Luglio 2025 - 18:30
C’erano le fontane, le cascate, le luci accecanti e una folla di migliaia di persone pronte a danzare fino all’alba. C’era la techno, quella vera, pulsante, che negli anni ’90 scandiva le notti e faceva vibrare i muri di cemento. E c’era un nome che prometteva grandezza: L’Ultimo Impero.
Per un’intera generazione, questo locale non è stato solo una discoteca. È stato un mito. Un gigante architettonico e musicale, sorto ai margini della zona industriale tra Airasca e None, lungo la statale per il Sestriere, a una ventina di chilometri da Torino. Oggi, quello stesso gigante giace in silenzio, abbandonato e consumato dal tempo.
Inaugurata il 18 dicembre 1992, la struttura fu concepita come un tempio del divertimento. Ci vollero tre anni di lavori per completarla, rallentati da intoppi burocratici e difficoltà logistiche. Il risultato fu imponente: quattro piani, sette piste da ballo, nove bar, sette fontane, due cascate artificiali, un’area interna da 7.000 metri quadrati e uno spazio esterno da 12.000. L’impianto audio, tra i più potenti d’Europa, arrivava a sprigionare 50.000 watt all’interno e 20.000 all’esterno.
La sua architettura si ispirava dichiaratamente alla Baia Imperiale di Gabicce Mare, ma l’intento era quello di superarla, sia in grandezza che in impatto scenico. Da qui il soprannome che molti affiancarono al nome ufficiale: “Disco Tempio”.
L’inaugurazione fu all’altezza dell’ambizione: in consolle si alternarono nomi del calibro di Claudio Coccoluto, Claudio Diva, Pietro Villa, Stefano Secchi e Manuel Bagnoli. Alla regia artistica, la visionaria Pinina Garavaglia, già icona delle notti milanesi.
Nei suoi primi anni, l’Ultimo Impero ospitò una programmazione eclettica, ma fu con l’avvento della techno-progressive – a metà anni ’90 – che il locale divenne un punto di riferimento assoluto. Qui mossero i primi passi artisti destinati a lasciare un segno profondo nella scena dance italiana, tra cui Gigi D’Agostino, Daniele Gas, Lello B., Alberto Esse. Anche la figura del vocalist divenne centrale, con protagonisti come Superpippo, Joe Tequila e Gradiska.
Per un periodo, l’Ultimo Impero fu la discoteca più grande d’Europa, capace di accogliere fino a 8.000 persone a serata. Il suo nome echeggiava non solo in Piemonte, ma in tutto il Nord Italia e oltre.
Nel luglio del 1998, dopo sei anni di gloria, il locale chiuse improvvisamente. Riaprì qualche mese dopo con un nuovo nome: Privilege, poi Templares, infine Royal Fashion Club. Le formule cambiarono, così come il target e le scelte musicali. Ma il magnetismo iniziale era svanito. La struttura, pur rimanendo attiva fino al 2010, non riuscì più a riconquistare lo stesso pubblico né a replicare l’entusiasmo degli esordi.
Oggi dell’Ultimo Impero rimane una cattedrale della notte abbandonata. Il cemento mostra i segni del tempo, le fontane sono asciutte, i suoni si sono spenti. Eppure, tra i graffiti e i vetri rotti, ancora aleggia il ricordo di ciò che fu: un luogo fuori scala, fuori tempo, in cui migliaia di giovani trovarono, per una notte, il proprio palcoscenico.
Nell’immaginario collettivo, l’Ultimo Impero è diventato un simbolo: dell’ambizione eccessiva degli anni Novanta, del potere aggregante della musica, ma anche della fragilità di un sogno che non ha retto al passare delle mode e delle crisi.
Forse, è proprio per questo che continua a vivere nella memoria di chi c’era. Come tutti gli imperi, anche il suo è caduto. Ma per chi ne ha varcato le porte almeno una volta, rimane eterno.
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