Cerca

Curiosità torinesi

I Marroni dei Templari: le coltivazioni più antiche d’Italia sono in Val di Susa

Dai castagneti secolari dell’Ordine dei Templari ai dolci piemontesi: la storia millenaria delle castagne valsusine

I Marroni dei Templari: le coltivazioni più antiche d’Italia sono in Val di Susa

Nelle valli della Val Susa, tra San Giorio e Villarfocchiardo, già nel XIII secolo esistevano i “castagneretus de Templeriis”, terreni coltivati a castagni dall’Ordine dei Templari. Oggi, queste terre custodiscono alcune delle ceppaie più antiche dei marroni della valle, comprendenti cinque ecotipi locali: San Giorio, Bruzolo, Meana, Villarfocchiardo e Sant’Antonino.

Il castagno ha da sempre segnato il paesaggio piemontese. La coltivazione sistematica, però, si sviluppò tra XI e XII secolo, soprattutto nelle zone alpine tra i 200-300 metri e i 1000 metri di altitudine. L’albero non offriva solo castagne: le foglie servivano da lettiera per il bestiame, i tannini a conciare le pelli o tingere in nero, e il legno, robusto e versatile, veniva usato anche come sostegno per le viti, chiamati “bròpe” in piemontese.

La lavorazione del frutto era altrettanto articolata. Le castagne venivano consumate fresche da ottobre a metà novembre, oppure conservate fino a primavera grazie a metodi tradizionali come la ricciaia, in cui i frutti venivano coperti da foglie, pietre, sabbia o torba; la curatura, nota anche come “novena”, che prevedeva immersioni in acqua fino a nove giorni per eliminare i frutti bacati; e l’essiccazione nei canicci, edifici in pietra a due piani con un graticcio su cui posare le castagne e un fuoco sottostante per asciugarle.

Le castagne secche entravano nella cucina quotidiana: lessate, in minestre come il mac del Biellese, o macinate in farine miste per la preparazione del pane, insieme a segale, avena, grano saraceno e talvolta patate o legumi. In Ossola, venivano impiegate negli gnocchi insieme a patate e zucca.

Nella pasticceria piemontese, il marrone si distingue per il suo ruolo da protagonista. Il marron glacé, dolce celebre anche in Francia, nasce in Piemonte alla corte di Carlo Emanuele I di Savoia a fine Cinquecento. Il frutto ideale per la canditura proviene dalle valli di Susa, del Cuneese e della Val Pellice: più grande della castagna comune, con polpa compatta e pellicina sottile, il marrone valsusino richiede una lunga lavorazione in sciroppo di zucchero e successiva glassatura. A Torino, i marrons glacés di Pfatisch restano un’icona della tradizione.

Tra i dolci più amati, il Montebianco unisce crema di marroni, panna e rhum su meringa, ricetta attribuita a un pasticcere svizzero e perfezionata grazie al gusto raffinato del conte Nesselrode. La Svizzera ritorna anche con la storia dei caldarrostai ticinesi che, dall’Oberland bernese e dalla Valle di Blennio, portarono la loro arte in Piemonte. Tra questi, i fratelli Cavargna, trasferitisi a Torino e poi a Bussoleno a metà Ottocento, fondarono un’attività di esportazione di marroni che, sfruttando i nuovi collegamenti ferroviari, raggiungeva persino la Francia.

L’industria del marrone valsusino si consolidò rapidamente: a inizio Novecento Bussoleno contava già cinque ditte operative, con la Cavargna protagonista delle prime spedizioni transoceaniche verso New York nel 1880.

Oggi i marroni di Valsusa non sono solo un frutto, ma simbolo di storia, tradizione e qualità del Piemonte. Un patrimonio che continua a raccontare, tra boschi secolari e dolci prelibatezze, il legame profondo tra territorio e cultura gastronomica.

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Logo Federazione Italiana Liberi Editori L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.