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26 Settembre 2025 - 18:30
Marco Liccione, ex leader dei No Green Pass
Diciannove persone. Sono quelle che dovranno andare a processo, forse già entro la fine dell’anno, per le manifestazioni dei No Green Pass durante la pandemia di Covid. Tra loro, ci sono Marco Liccione, fondatore ed ex leader del gruppo “La variante torinese”, Serena Tagliaferri, portavoce del “No paura day”, e Antonio Pinto, un altro dei capi dei No Pass. La procura di Torino, nello specifico il sostituto procuratore Valentina Sellaroli, ha concluso le indagini sui raduni dei No Green Pass organizzati nel 2021 per protestare contro le restrizioni imposte dal governo allora guidato da Mario Draghi, con Roberto Speranza ministro della Salute. Una sorta di maxi-processo, con appunto ben diciannove indagati. Le accuse, a vario titolo, sono di istigazione a disobbedire alle leggi, danneggiamento, resistenza a pubblico ufficiale e mancato obbligo di comunicazione al questore per riunioni e manifestazioni.

In particolare, Marco Liccione, difeso dall’avvocato Gilberto Comotto, è indicato come «promotore, organizzatore e leader che con più condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso, pubblicamente istigava alla disobbedienza alle leggi di ordine pubblico e incitava la folla a ricercare lo scontro con le forze di polizia». Liccione (accusato di aver tenuto questo comportamento in otto manifestazioni dal 23 marzo al 18 dicembre 2021) si difende così: «Per me è una buffonata. Tutte le manifestazioni erano assolutamente pacifiche. Per quello che è successo durante gli anni del Covid, e che poi è emerso negli anni successivi, si sarebbe dovuto indagare su ben altro».
Non solo Liccione, però. A processo andranno diciannove persone. Durante i raduni, alcuni indagati si sono resi responsabili di spintoni ai danni dei poliziotti, mentre un altro degli indagati, Pietro Battaglia, nel corso di una manifestazione ha dato fuoco a un telone che reggeva l’apparecchiatura del maxi-schermo che segnalava giornalmente le vaccinazioni contro il Covid in Piemonte. Mentre Antonio Pinto, secondo la pm, «interveniva con veemenza per impedire agli altri manifestanti di comunicare alle forze dell’ordine il percorso stabilito, indicando ai manifestanti dove proseguire i cortei nonostante più volte, in varie circostanze, le forze dell’ordine avessero intimato a lui e agli altri di sciogliere l’assembramento e interrompere le manifestazioni». Manifestazioni che radunavano anche 10mila persone e nelle quali i momenti di tensione non sono mancati. Non solo spintoni ai poliziotti, ma anche insulti all’allora premier Draghi e al generale Figliuolo.
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