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La crisi dell'ex Fiat
07 Ottobre 2025 - 15:20
È credibile pensare di produrre (e vendere) 100.000 auto l'anno in una fabbrica che, finora, in 9 mesi ne ha prodotte appena 18.000 o poco più? Perché gli stabilimenti Stellantis continuano a rallentare, fin quasi a fermarsi? Domande che accompagnano il rapporto periodico della Fim‑Cisl sull'andamento della produzione Stellantis in Italia, a due settimane dall'incontro dei sindacati con il ceo Antonio Filosa: nei primi nove mesi del 2025 la produzione complessiva di auto e veicoli commerciali si è fermata a 265.490 unità, il 31,5% in meno rispetto allo stesso periodo del 2024. È una frenata che si fa più pesante settimana dopo settimana e che costringe sindacati e governo a fissare nuove priorità. Basterà l’innesto annunciato di modelli ibridi a invertire la tendenza? O servirà qualcosa di più profondo, un vero cambio di marcia nella politica industriale? Vediamo i dati, così come li propone la Fim‑Cisl.
La flessione più severa colpisce le auto: -36,3%, con 151.430 unità prodotte. I veicoli commerciali limitano i danni ma scendono comunque del 23,9%, a 114.060 unità. Non si salva nessuno: le perdite, stabilimento per stabilimento, oscillano tra il 17% e il 65%. Per Ferdinando Uliano, segretario generale Fim‑Cisl, il 2025 rischia di chiudersi “con una riduzione di un terzo dei volumi produttivi”, poco più di 310.000 unità totali, e con le auto sotto la soglia psicologica delle 200.000. È la fotografia di una filiera in affanno, dove la domanda incerta e una transizione tecnologica ancora in cerca di equilibrio comprimono la capacità di programmare.
Per Uliano la data cerchiata in rosso è il 20 ottobre, quando incontrerà l’amministratore delegato Antonio Filosa. Sul tavolo c’è il cosiddetto piano post‑Tavares, nato dopo lo sciopero del settore auto del 18 ottobre 2024 e favorito dalla successiva uscita di Carlos Tavares. “Chiederemo a Filosa di rafforzare e migliorare il piano di investimenti”, ribadisce il leader Fim‑Cisl. È una trattativa che può segnare un crinale: da un lato la necessità di difendere occupazione e competenze, dall’altro il bisogno di riallineare il perimetro industriale italiano a una domanda che cambia per tipologia di prodotto, motorizzazioni e fasce di prezzo.
COSA PREVEDE IL PIANO POST-TAVARES
Le tappe già fissate non sono marginali.
È un mosaico ambizioso, che prova a ricucire la distanza tra il ritmo incalzante della transizione ecologica e la realtà delle linee italiane. Ma i tasselli non sono tutti al loro posto: il nodo Termoli, dopo lo stop alla gigafactory, resta aperto e pesa come un macigno su centinaia di lavoratori e su un segmento – quello dell’elettrico – che richiede continuità industriale e certezze lungo tutta la filiera.
Ma Stellantis sta muovendosi a livello globale: produzioni implementate all'estero, una nuova fabbrica in Sudafrica, 1,2 miliardi di euro di investimento in Marocco, ben 10 miliardi totali di dollari in America per la produzione locale. E il piano per l'Italia? Come si inserirà nel rinnovato piano industriale di Filosa, in arrivo per inizio 2026.
Se c’è un luogo in cui la crisi diventa tangibile è Mirafiori. Tra gennaio e settembre 2025 le unità prodotte sono state 18.450, in calo del 17% rispetto alle 22.240 del 2024. La quasi totalità è Fiat 500 Bev (18.315 unità), mentre il marchio del Tridente scivola ai minimi: appena 140 Maserati. Stellantis ha già deciso di trasferire entro fine anno la produzione di GranTurismo e GranCabrio a Modena. Uliano non usa giri di parole: la linea Maserati a Torino va riempita con nuove produzioni, e il gruppo deve chiarire rapidamente la strategia del marchio, sia in termini di modelli sia di volumi. L’avvio della 500 ibrida, frutto dell’azione sindacale, è un primo spiraglio. L’obiettivo indicato è di circa 5.000 unità entro fine anno: traguardo “impegnativo e tutto da verificare”. Il gruppo stima un ritmo annuo di 100.000 vetture: “Se tali volumi saranno confermati, sarà possibile superare la fase di cassa integrazione”, afferma Uliano. Ma la condizione è chiara: serve un piano serio su Mirafiori che rimetta al centro l’occupazione dopo anni di uscite.
QUASI METÀ DEI LAVORATORI IN AMMORTIZZATORI SOCIALI
Dietro i grafici, ci sono persone. Quasi la metà della forza lavoro italiana di Stellantis è oggi coperta da ammortizzatori sociali. Non è solo un dato: è una pressione sociale crescente, che si traduce in redditi compressi, competenze non utilizzate e comunità locali in apprensione.
Il sindacato insiste su un principio semplice e impegnativo: garantire a ogni sito una prospettiva industriale e occupazionale certa, evitando decisioni unilaterali, chiusure e licenziamenti e accompagnando la transizione tecnologica con soluzioni concrete e condivise. Ma come farlo in un contesto di domanda volatile e standard regolatori in movimento? E di legislatori in palese stato di confusione ideologica (aggiungiamo noi)?
Per la Fim-Cisl, la crisi non è un meteorite isolato, bensì il sintomo di un vuoto di strategia a livello continentale. Uliano invoca un piano industriale europeo espansivo, sostenuto da debito comune e da un nuovo Fondo europeo con risorse paragonabili al Next Generation EU. L’obiettivo è duplice: accelerare la transizione e distribuirne i costi nel tempo, garantendo non solo sostenibilità ambientale ma anche sociale. Il messaggio riguarda anche Roma: la rimodulazione delle sanzioni sulle emissioni di CO₂ previste per il 2025 “non è sufficiente”. Occorre ripensare tempi e modalità della decarbonizzazione in chiave industriale, economica e sociale. Altrimenti il rischio è evidente: rincorrere gli obiettivi senza gli strumenti per raggiungerli, con il paradosso di una transizione che desertifica i siti produttivi invece di rigenerarli.
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