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Crisi sanità
08 Ottobre 2025 - 21:13
Medici di famiglia
Minacciati, quando va bene. Aggrediti verbalmente o fisicamente se, invece, va male. Sono gli infermieri, i medici, o anche i volontari della Croce Rossa (come in uno dei casi più recenti di aggressione, lo scorso 28 settembre al Mauriziano). Un grave campanello d’allarme sulla situazione sanitaria della Regione: tra il 22 e 30 settembre ben tre le aggressioni che si sono verificate entro le mura dei presidi ospedalieri piemontesi.
Armati in ospedale
Martedì scorso, così, era arrivato l’annuncio dai vertici della Regione: in tutti i pronto soccorso aziendali, ora, ci saranno guardie armate.
Più di un intenzione, come comunicato qualche giorno fa in Consiglio regionale dall’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi. «Già entro fine anno l’aggiudicazione dell’appalto», promette Riboldi, rispondendo a un’interrogazione presentata dal consigliere 5S Alberto Unia, che chiedeva una «posizione comune della Regione» a seguito delle violente aggressioni.
Le reazioni sindacali
«Difendersi dai propri pazienti sarà necessario, ce lo dice la cronaca, ma questo è comunque un fallimento della gestione della sanità», spiega Chiara Rivetti, segretaria regionale dell’Anaao Assomed Piemonte. «Le casistiche possono essere indubbiamente tante: non sono solo i pazienti, a volte sono i parenti che si agitano, per via delle lunghe attese, o perché non si riesce a dedicare loro il giusto tempo», continua. Accade spesso, infatti, che nei congestionati pronto soccorso della regione, si attenda per ore una diagnosi fornita poi in fretta e furia, o quantomeno con poco tatto per assistiti e loro parenti, semplicemente perché «non c’è tempo».
Luoghi più “umani”
Con l’aggiornamento del Piano di accoglienza e umanizzazione in pronto soccorso, lo scorso giugno, però, per sopperire, sono state inserite delle nuove figure: un referente per la gestione dei conflitti con gli utenti in attesa e un assistente in sala d’attesa. Ma per il sindacato questo non basta. «I parenti vogliono parlare col medico. Così si tradisce il rapporto di fiducia tra medico e paziente. Tra chi cura e ha bisogno di cura», continua Rivetti.
L’annuncio di giugno dato dall’assessore era stato accolto con grande entusiasmo e apprezzamento. «Ma avevamo anche segnalato importanti criticità e soprattutto un mancato coinvolgimento nei Tavoli Regionali - continua la segretaria-. Avevamo chiesto a ogni Azienda un piano di miglioramento con relazione di fattibilità, nonché l’accesso ai dati della ricognizione annuale. A distanza di tre mesi, nulla di tutto questo è accaduto».
Parole sul tavolo
Di qui il comunicato al vetriolo del sindacato, che denuncia: «Le aggressioni sono l’ennesimo segnale di un sistema che, senza misure organizzative e di sicurezza concrete, espone i professionisti a rischi inaccettabili. Non ci si può stupire quindi della continua diaspora di professionisti dal pronto soccorso», dice Rivetti. «Umanizzare significa mettere le persone nelle condizioni di curare e di essere curate in sicurezza. Le parole del 17 giugno sono rimaste sul tavolo: ora servono atti, date e responsabilità», continua la segretaria.
Piani e date
Le richieste, che per Anaao Assomed, devono essere «immediate e verificabili», il sindacato le ha condensate in pochi punti.
La convocazione - entro 7 giorni - di un Tavolo con Regione, direzioni aziendali e operatori sanitari per definire un cronoprogramma pubblico che attui effettivamente il Piano annunciato da Riboldi. La pubblicazione dei piani aziendali di miglioramento e il relativo stato di avanzamento, con monitoraggio trimestrale e indicatori condivisi. Dotazioni e procedure di allerta rapida, supporto psicologico post-evento. Perché «la vigilanza armata dedicata è utile ma non sufficiente», ribadisce Rivetti. Infine la comunicazione: «Vogliamo sapere tempi, spazi, regole e stato dei percorsi, per rendere effettiva l’“attesa attiva” promessa», dice. Toni un po’ più miti, ma comunque non proprio distesi, da NursingUp. «Sono cose che si ripetono da tempo...»», fa notare il segretario generale Claudio Delli Carri.
Poco personale?
Per entrambi i rappresentanti sindacali, così, sebbene sia indubbia la necessità di garantire una maggiore sicurezza all’interno dei pronto soccorso della Regione, c’è anche altro. «La presenza di guardie armate può disincentivare le aggressioni, ovviamente, ma la questione è complessa e ci sono più componenti», osserva Delli Carri. «In primis - continua - educazione e organizzazione: non siamo educati al fatto che un codice bianco al pronto soccorso vuol dire potenzialmente aspettare otto, o anche più ore. Il pronto soccorso non è un ambulatorio in cui si rispetta la data d’arrivo, ma spesso vi viene equiparato. Dovrebbe essere spiegata meglio, ad esempio, la funzione dei Punti di primo intervento (PPI). In secondo luogo affrontiamo da anni una strutturale carenza di medici che affatica la complessa macchina sanitaria». «Dobbiamo assumere e assumere, - sostiene Rivetti - affinché le attese dei pazienti non siano infinite. Bisogna dare ai medici il tempo per confrontarsi con pazienti». Ma di contro sono tanti i concorsi di assunzione pubblici a cui a rispondere sono pochi sparuti, come spiegato pochi giorni fa dallo stesso Riboldi.
Dalle guardie armate, così, si torna ancora una volta al nodo scorsoio che la sanità non riesce a sciogliere: ci sono pochi medici, ma quelli che ci sono (come confermato dall’ultimo rapporto Gimbe), disertano i bandi e vanno altrove.
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