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I pareri

C’è il primo passo della pace a Gaza, ma Torino cresce l’antisemitismo

Una possibile tregua e il ritorno degli ostaggi a Gaza: comunità ebraica e italo-araba avvertono: "no agli estremismi"

Ancora tensioni a Torino a causa dei Pro-Pal

Ancora tensioni a Torino a causa dei Pro-Pal

«Solo un primo passo, erto di difficoltà, ma l'accogliamo con grande gioia». Così il presidente della Comunità ebraica Dario Disegni a poche ore dall’annuncio che potrebbe sancire finalmente la fine delle ostilità tra Israele e Hamas, e la restituzione, dopo oltre 730 giorni, degli ostaggi.

Barlume di speranza

Si tratterebbe solo di una «prima luce», della «speranza di potere iniziare finalmente un discorso articolato», continua Disegni. Un canovaccio da attenzionare, che potrebbe essere occasione per una «sistemazione», territoriale e non, attesa da decenni.

Assieme a lui è anche il presidente del Centro culturale italo-arabo torinese Dar al Hikma, Younis Tawfik (giornalista e scrittore originario dell’Iraq) a esprimere contentezza per «un accordo che può dare finalmente speranza a chi ha sofferto così tanto. Sono stati troppi i morti», afferma.

Le condizioni

Se il cessate il fuoco e la restituzione degli ostaggi sono punti fermi, restano ancora diversi aspetti aperti: il ritiro israeliano, il disarmo di Hamas e la governance dopo-Gaza. «È giusto che Hamas si occupi di altro – dice Tawfik –. D’altro canto bisognerà vedere cosa farà Israele: che ne sarà degli insediamenti presenti?» «Bisognerà vedere se rispetterà effettivamente gli accordi di Oslo, del governo di Israele non c’è da fidarsi molto», aggiunge.

In Norvegia, infatti, nel 1993 era già stato siglato un patto che prevedeva il riconoscimento reciproco dei due Paesi e la creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese per l’autogoverno in parte dei territori occupati (Cisgiordania e Gaza), ma il processo di pace era poi naufragato.

Altro tema caldo è il dopo-Gaza. Se da una parte lo storico israeliano Ilan Pappé pochi giorni fa tagliava corto: fallirà perché calato dall’alto («Come tutti i processi falliti finora, nessuno parla con i palestinesi»); dall’altra, per il presidente Disegni un ruolo essenziale lo rivestiranno i Paesi arabi moderati e l’Unione europea, oltre agli Stati Uniti: «Solo così, riusciremmo a raggiungere la pace giusta», dice.

Il 7 ottobre e l’odio

A Torino, al triste anniversario della strage israeliana, qualche giorno fa, sono stati in tanti a scendere in piazza (in 6mila) per la Palestina, nonostante alcune voci della politica parlassero di «apologia del terrorismo».

«Inopportuno», a dir poco, il corteo del 7 ottobre, per Tawfik. Mentre per Disegni si parla di «provocazione vera e propria, da condannare».

La comunità ebraica, infatti, è entrata nel mirino soprattutto dell’odio social. «Basta dire: “Io difendo Israele”, per subire pesanti attacchi sui social. Viviamo momenti di grande ostilità verso gli ebrei e di rinascita dell’antisemitismo», aveva denunciato rav Ariel Finzi, il rabbino capo della Comunità ebraica di Torino, all’indomani della Giornata Internazionale delle vittime di atti di violenza basati su credo religioso, lo scorso 21 agosto. A confermarlo gli ultimi dati dell’Osservatorio sull’antisemitismo CDEC, del 2024, che parla di «un aumento significativo di contenuti antisemiti diffusi sui social media a partire dall’ottobre 2023».

Secondo l’Osservatorio il 23% degli studenti delle scuole superiori dichiara di aver assistito almeno una volta a battute o commenti antisemiti nella propria classe. «Non dobbiamo chiudere gli occhi in questo momento», conclude Tawfik.

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