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La sentenza
03 Dicembre 2024 - 17:49
Filippo Turetta è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio di Giulia Cecchettin, la giovane donna uccisa l'11 novembre 2023. La sentenza è stata pronunciata il 3 dicembre 2024 dalla Corte d'Assise di Venezia, che ha letto la decisione in aula nel pomeriggio di martedì.
L'ergastolo in Italia suona come una condanna senza via d'uscita, ma la realtà è più complicata di quanto sembri. Non è sempre una "pena a vita" nel senso stretto del termine. Sebbene sia la punizione più severa per i crimini più gravi, come omicidi premeditati, stragi o attacchi terroristici, esistono diverse possibilità per un condannato all'ergastolo di uscire prima, a seconda del suo comportamento e del suo percorso di riabilitazione. Ma come funziona esattamente? E quando davvero un condannato rischia di restare in carcere per tutta la vita?
In Italia, l'ergastolo può essere inflitto per una serie di reati particolarmente gravi. Tra questi ci sono l'omicidio premeditato, la strage o l’attentato. La pena viene applicata anche per gravi reati contro lo Stato, come l’associazione mafiosa. Sebbene la legge preveda che l'ergastolo sia una pena perpetua, esistono vari meccanismi che permettono di abbreviare la durata della detenzione, tenendo conto del comportamento del condannato e del suo percorso di riabilitazione.
Una delle modalità principali di riduzione della pena riguarda il concetto di “buona condotta”. Ogni detenuto che sconta una pena, compreso chi è condannato all’ergastolo, ha la possibilità di ottenere una riduzione della pena se dimostra un comportamento esemplare all'interno del carcere. In pratica, se un detenuto si comporta correttamente, partecipa a programmi di lavoro e di educazione, e non causa problemi all’interno dell’istituto penitenziario, può vedere la sua pena ridotta di 45 giorni ogni sei mesi di detenzione.
Un altro strumento che consente di abbreviare la durata della detenzione per chi è condannato all’ergastolo è il permesso premio. Questo beneficio consente al condannato di uscire dal carcere per brevi periodi, con l’intento di favorire il suo reinserimento nella società. I permessi premio sono concessi dopo che il detenuto ha scontato almeno 10 anni di pena e solo se dimostra un cambiamento positivo nel suo comportamento. Per ottenere un permesso premio, è necessario che il detenuto abbia dimostrato di non essere più un pericolo per la società e che abbia intrapreso un percorso di riabilitazione serio e continuativo.
Oltre ai permessi premio, esistono altre possibilità di alleggerire la pena, come la semilibertà e la liberazione condizionale. La semilibertà consente al detenuto di trascorrere parte del giorno all'esterno per lavorare o studiare, ma sempre sotto la sorveglianza delle autorità. Questo beneficio viene concesso a chi ha dimostrato un buon comportamento e un impegno concreto nella propria riabilitazione. La liberazione condizionale, invece, permette al condannato di lasciare il carcere in via definitiva, ma solo dopo che ha scontato almeno 26 anni di pena e solo se il suo comportamento dimostra che non rappresenta più un pericolo per la collettività. È importante sottolineare che, anche in caso di semilibertà o liberazione condizionale, il condannato resta comunque sotto controllo e la pena non è mai considerata definitivamente conclusa. Il detenuto può essere richiamato in carcere se non rispetta le condizioni stabilite.
Esiste però una forma di ergastolo che non prevede alcuna possibilità di benefici: l’ergastolo ostativo. Questa pena è applicata a chi è condannato per crimini di particolare gravità, come l’associazione mafiosa o i delitti di terrorismo. In questi casi, il condannato non ha accesso a permessi premio, semilibertà o liberazione condizionale, a meno che non decida di collaborare con la giustizia, cioè diventando un pentito. In altre parole, l’ergastolo ostativo non prevede riduzioni di pena, a meno che il condannato non contribuisca attivamente alla lotta contro le organizzazioni criminali a cui apparteneva. Questo tipo di pena ha suscitato molte discussioni in Italia, soprattutto per le implicazioni costituzionali: alcuni sostengono che impedire qualsiasi beneficio a un condannato violi il principio della rieducazione previsto dalla Costituzione, mentre altri ritengono che, per crimini di tale gravità, la possibilità di riscatto debba essere preclusa.
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