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IL PROCESSO

Processo Askatasuna: l’accusa punta sul «sodalizio della violenza»

Accuse di violenza e associazione a delinquere per venti esponenti del centro sociale. La procura: «Non è la lotta No Tav sotto accusa, ma chi la sfrutta per fini violenti»

Processo Askatasuna: l’accusa punta sul «sodalizio della violenza»

Il centro sociale "Askatasuna"

Il processo, che ha preso il via questa mattina, contro il centro sociale Askatasuna, si apre con un'accusa pesante: "Sono i leader di un sodalizio che ha come elemento fondamentale il ricorso alla violenza". Con queste parole, il pubblico ministero Manuela Pedrotta ha dato avvio alla sua requisitoria. 

Sedici dei ventotto accusati devono rispondere dell’accusa di associazione per delinquere, reato cardine su cui si regge la tesi della Procura. Secondo quanto sostenuto dall’accusa, all’interno di Askatasuna si sarebbe formato "un gruppo organizzato e stabile, dedito alla violenza come metodo d'azione". Una violenza, ha precisato la pm Pedrotta, "che non è fine a sé stessa ma strategica, mirata a ottenere visibilità, come dimostrato dal coinvolgimento nelle proteste No Tav in Valle di Susa. È la lotta che garantisce più visibilità a livello nazionale”, ha sottolineato la pm, evidenziando il legame tra l’attivismo e la ricerca di risonanza mediatica.

Le prove dell’accusa

La requisitoria, condotta dal pm Pedrotta insieme al procuratore aggiunto Emilio Gatti, si basa in gran parte sulle intercettazioni ambientali e telefoniche raccolte nel corso delle indagini. "Non lo dice la Digos o la procura, ma le intercettazioni e i fatti", ha puntualizzato la pm, volendo chiarire la solidità delle prove presentate. Queste registrazioni, che hanno portato alla luce conversazioni e strategie interne al centro sociale, sono considerate la chiave di volta del processo.

Secondo la Procura, i membri del centro non si limiterebbero a partecipare alle manifestazioni, ma si configurerebbero come veri e propri "professionisti della violenza". Un'accusa che supera la semplice partecipazione a proteste e disordini. Dalle intercettazioni emergerebbe, infatti, il disprezzo verso chi, all’interno del movimento No Tav, non è disposto a "pagare il prezzo" della lotta. Questa dicotomia, evidenziata nelle parole del pm, mira a distinguere le "tante persone perbene" che animano il movimento No Tav dai membri di Askatasuna, accusati di strumentalizzare il dissenso per portare avanti la loro agenda.

La difesa del diritto al dissenso

"Non è intenzione della procura criminalizzare il dissenso", ha precisato la pm Pedrotta, anticipando possibili critiche. "Ma agiamo quando ci sono ipotesi di reati e l'uso della violenza". Con questa frase, la procura ha voluto chiarire la distinzione tra la legittima espressione del dissenso e le azioni che travalicano il limite della legalità. Un punto cruciale che diventa il cuore del dibattito pubblico attorno al processo.

Il pm ha posto l'accento sulla presenza, all’interno di Askatasuna, di un gruppo che non condivide appieno gli ideali del movimento No Tav, ma che ne sfrutta la visibilità per scopi propri. “Non è la lotta in sé a essere sotto processo, ma chi la strumentalizza”, è stato il messaggio implicito della requisitoria.

Se da una parte la procura rivendica la necessità di agire contro la violenza organizzata, dall’altra gli ambienti vicini ai movimenti sociali accusano le autorità di voler criminalizzare il dissenso. Il processo sarà l’occasione per fare chiarezza su queste dinamiche, ma intanto la requisitoria della pm Pedrotta ha già lasciato il segno: "Non ci facciamo intimidire". Le prossime udienze saranno cruciali per capire come si evolverà il procedimento e quale sarà il destino degli imputati.

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