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Pericolo dei social
28 Febbraio 2025 - 07:50
Il fenomeno di incastrarsi per ore al telefono per guardare contenuti, che molti chiamano “brain rot”, sta diventando sempre più un argomento di discussione, soprattutto con l'esplosione dei social media nella nostra vita quotidiana. Il termine, recentemente scelto come parola dell’anno dall'Oxford University Press, descrive un fenomeno che potrebbe sembrare drammatico: un’intelletto che si atrofizza sotto il bombardamento incessante di contenuti digitali superficiali.
È evidente che i social media possiedono un potenziale molto più grande di quanto comunemente venga riconosciuto. Rappresentano uno strumento che riflette le scelte degli utenti. Se l’algoritmo di una piattaforma vi propone contenuti inutili o banali, potrebbe essere perché queste sono le tipologie di contenuti che avete scelto di consumare. In questo senso, il “brain rot” non è un effetto inevitabile dei social media, ma una conseguenza di come decidiamo di utilizzarli.
Proprio come la televisione ha sempre avuto programmi di scarso valore culturale, esistono anche su internet contenuti creati esclusivamente per intrattenere, senza stimolare la mente. Ma questo non significa che tutto ciò che si trova sui social media sia privo di valore. Al contrario, i social sono stati anche un mezzo straordinario per amplificare voci altrimenti inascoltate, per diffondere idee importanti e per sostenere cause che altrimenti sarebbero rimaste invisibili. Un esempio recente è la campagna promossa da Loretta Grace sullo Ius Soli, che ha portato migliaia di persone a firmare una petizione per una causa sociale rilevante.
In definitiva, la critica ai social media non dovrebbe concentrarsi tanto sul mezzo in sé, ma sulle modalità con cui li utilizziamo. Se il rischio di “brain rot” è una realtà, è perché molte persone si lasciano catturare da contenuti che non stimolano il pensiero, ma che piuttosto soddisfano una ricerca continua di gratificazione immediata. Eppure, esiste anche un lato positivo dei social, che dipende dalle scelte individuali: non è il social a determinare la qualità del nostro tempo, ma come scegliamo di trascorrerlo.
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