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L'INTERVISTA ESCLUSIVA

Le lacrime della torinese che vive l'inferno della guerra in Israele

Daniela Fubini: "Vivo barricata in casa con il mio bimbo e mio marito, abbiamo centinaia di corpi da seppellire"

Vivere con il timore di essere uccisa da una bomba o torturata dalle milizie di Hamas. Con questo clima di terrore costante deve convivere la torinese Daniela Fubini, residente insieme al figlio di due anni e il marito a sud di Israele nella piccola comunità di Kokhav Michael, dove la paura e l’angoscia si sono impadronite delle vite dei suoi abitanti. Il paesino si trova infatti a una manciata di chilometri dal luogo della strage del rave party dove sono stati barbaramente uccisi centinaia di giovani israeliani.

LA VIOLENZA DEI TERRORISTI

«Vivo in un villaggio, vicino al luogo della strage, non hanno ancora trovato tutti i corpi, ma questo è solo uno dei tanti posti in cui i terroristi si sono infiltrati entrando in tanti kibbuz nella Striscia di Gaza, hanno sfondato le porte delle case e hanno sparato alla gente nel letto alle sei del mattino. Hanno ammazzato tre generazioni della stessa famiglia, oppure due generazioni e hanno preso in ostaggio la terza».

LACRIME PER LE VITTIME

Un racconto che fa venire i brividi, considerando anche il numero dei morti in Israele che hanno già superato il migliaio. Alcune delle vittime Daniela le conosceva: «Hanno ucciso il marito di una delle mamme della scuola dove va mio figlio». Qui la voce della torinese si rompe e le lacrime le rigano il volto. «E anche altri - aggiunge asciugandosi gli occhi - già si sa che non torneranno: quelli con cui abbiamo perso i contatti il primo giorno di guerra. Ci sono davvero poche possibilità di ritrovarli vivi».

TRE GIORNI DENTRO LA CAMERA DI SICUREZZA 

La situazione a Kokhav Michael, almeno per il momento, sembra più tranquilla, ma Daniela e la sua famiglia hanno vissuto giorni di grande paura. «Alle sei del mattino di sabato, quando abbiamo capito che non si trattava della solita scarica di missili ma che la situazione era più grave, al suono della sirena siamo corsi nella camera di sicurezza perché sapevamo di essere a rischio. E ci siamo rimasti per tre giorni. Per fortuna - aggiunge - qui da noi non sono arrivati e ora tutti i paesini sono pattugliati».

LO ZIO UCCISO DURANTE LA GUERRA DEL KIPPUR 

Un incubo, quello della guerra, che Daniela è costretta a rivivere, suo malgrado: «Una settimana fa ho commemorato il cinquantesimo anno dalla morte di mio zio nella guerra del Kippur - ricorda -, questo conflitto la ricorda molto: il volume dei morti è terrificante così come la sorpresa».

I SOCCORSI IN RITARDO E I CORPI DA SEPPELLIRE

Una brutta sorpresa però non del tutto inaspettata. «C’è stata una debacle totale dell’intelligence che ha sottovalutato le allerte che ci sono state» sottolinea la torinese: «La risposta dell’esercito è arrivata in ritardo, abbiamo dovuto aspettare oltre due ore l’arrivo dei tank e dei soccorsi. Qualcuno prima o poi dovrà rispondere di tutto ciò».
Il prossimo futuro è ancora un punto interrogativo. «Entro stasera dovrò decidere cosa fare, se partire o restare» spiega Daniela che ha entrambi i genitori residenti a Torino. «Nel frattempo però - aggiunge - dobbiamo anche pensare a seppellire i morti».

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