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L'INTERVISTA DELLA SETTIMANA

«Non si può difendere chi decapita bambini e stupra donne morte»

Parla Ariel Finzi, il rabbino capo della Comunità Ebraica di Torino appena rientrato in città da Gerusalemme

«Non si può difendere chi decapita  bambini e stupra donne morte»

Ariel Finzi a Gerusalemme

«Una società che difende chi taglia le teste e brucia vivi dei bambini non ha futuro, è destinata a crollare e implodere insieme a loro». Le parole del rabbino capo della Comunità Ebraica di Torino, Ariel Finzi, riassumono così la sua visione relativa alle manifestazioni di sostegno alla Palestina e gli appelli di Hamas che ha invitato il popolo musulmano a ribellarsi contro gli ebrei di tutta Europa. Una situazione allarmante, che richiama echi lontani, quella scoppiata con la guerra in Israele, che rischia di avere delle ripercussioni anche in Italia e nella nostra città con episodi di razzismo e violenza. Il rabbino Finzi, torinese, in carica a Torino, dopo aver trascorso sette anni a capo della Comunità Ebraica di Napoli, è appena tornato nella nostra città dopo aver passato alcune settimane a Gerusalemme a pochi chilometri dalla guerra che infuria in Terra Santa.

Rabbino Finzi, come mai era a Gerusalemme e che clima si respira?

«Ero a Gerusalemme per motivi di carattere personale. Nella città si respira un clima di forte preoccupazione e tristezza per quel che sta accadendo a pochi chilometri da dove i terroristi hanno ucciso a sangue freddo centinaia di ebrei innocenti. Tutti i negozi sono chiusi a parte gli alimentari, un giorno abbiamo trovato una pasticceria aperta con cinque volontari che stavano preparando dei biscotti da inviare al fronte ai soldati. La situazione è molto complessa».

Cosa pensa di Hamas?

«Chi si è macchiato di simili crimini non può neanche essere definito bestia, perché sarebbe un insulto agli animali. Quaranta bambini ebrei bruciati vivi o con la testa tagliata, cinque Kibbutz (villaggi ebrei) rasi al suolo con tutta la popolazione sterminata o deportata, tutte le case bruciate, anche con famiglie all’interno, donne e bambini violentati da vivi e anche da morti. Questo è Hamas: Generazioni educate e addestrate all’insensibilità di fronte alla morte esattamente come le guardie dei campi di sterminio nazisti di cui sono gli eredi».

Lei avrà sentito racconti di puro terrore, ce ne racconta uno in particolare che non è ancora stato reso noto?

«Mi sono interfacciato con dei soldati che sono intervenuti dopo la strage dei Kibbuz per liberare il territorio. La scena che mi è rimasta più impressa è stata quella del ritrovamento di una bambina di sei anni, tra i cadaveri dei genitori e dei fratelli. I terroristi, dopo aver ucciso davanti ai suoi occhi tutta la sua famiglia, l’hanno violentata, e poi l’hanno lasciata viva forse per pura crudeltà. È stata soccorsa dai soldati che, dopo 14 ore, l’hanno trovata ammutolita, nella stanza a fianco dei cadaveri dei suoi familiari. Un atto del genere non può essere compiuto da esseri umani».

Dopo gli attacchi terroristici di Hamas la risposta di Israele su Gaza è stata molto dura. La giustifica?

«Sì, ritengo che sia doverosa. Questa non è la guerra degli Israeliani o del popolo ebraico, questa è la guerra del Bene contro il male assoluto. La guerra sarà molto dura e tutte le regole del gioco sono saltate: sono state concesse 48 ore ai civili per lasciare Gaza poi il corridoio di uscita è stato bombardato. In passato sulle ambulanze venivano trasportate armi per i terroristi. Questo non sarà più permesso. L’unica fine possibile di questa guerra è che Hamas non esista più. Non è una vendetta, ma una realtà: non si può permettere a chi fa certe cose di riorganizzarsi per poi rifarle. Auspico che i terroristi presi prigionieri vengano sottoposti ad un regolare processo per crimini contro l’umanità».

Cosa pensa delle manifestazioni a sostegno della Palestina che si sono tenute anche a Torino, come il corteo di ieri da Barriera di Milano al centro città?

«Una società che difende chi taglia la testa e brucia vivi dei bambini non ha futuro, è destinata a crollare e implodere insieme a loro. Chi li difende si schiera dalla parte del male e difende gli eredi del nazismo, anche se si spaccia per progressista o falso pacifista».

Come sono i rapporti tra comunità ebraica e musulmana a Torino?

«Chi mi conosce sa che sono sempre stato promotore del dialogo con l’Islam, ma solo ed esclusivamente con i moderati, magari cercando di supportarli e rafforzarli all’interno dell’Islam stesso. Ma ci sono anche frange estremiste in Italia, vicine ai Fratelli Musulmani che sostengono Hamas. Di certo loro non possono essere considerati degli interlocutori. Nonostante questi terribili eventi, sogno che un giorno in Israele possa aprirsi una vera collaborazione con tutti gli stati vicini per un periodo di pace e prosperità condivisa».

E’ stato difficile tornare a Torino?

«Io e mia moglie siamo riusciti a salire un volo El Al da Gerusalemme con arrivo a Malpensa. In un certo senso mi sono sentito in colpa ad andarmene dal paese e forse mi sarei sentito meglio se fossi rimasto».

E’ preoccupato per possibili episodi di rivendicazioni a Torino? Lei e le aree sensibili, come la sinagoga, la scuola e la casa di riposo a San Salvario sono ben protette?

«Io stesso sono sotto sorveglianza, in stretto contatto con la Digos, i Carabinieri e l’esercito, soltanto loro sapevano del mio ritorno a Torino. La sicurezza è stata potenziata ma dopo l’annuncio di Hamas temiamo episodi di terrorismo contro gli ebrei. Spero che la società civile la smetta di parteggiare per i terroristi».

Ci spiega perché la società civile dovrebbe parteggiare per Israele?

«Perché c’è una differenza sostanziale nella guerra tra Israele e Palestina. Israele, da sempre, si difende di fronte a questi esseri inumani che festeggiano dopo aver ucciso brutalmente un bambino, una donna o un anziano. Chi conosce la storia è al corrente di eventi come la strage delle Olimpiadi di Monaco perpetrata dall’Olp oppure la strage della scuola di Ma’alot (15 maggio 1974) nella quale, oltre al corpo insegnanti, 21 bambini vennero uccisi dai terroristi, che allora si chiamavano “Fronte democratico per la liberazione della Palestina” (Fdlp).
Nella religione Ebraica invece esiste il divieto di festeggiare dopo una vittoria in battaglia, per rispetto della morte dei propri nemici. La vendetta non è mai stata parte della guerra condotta da Israele negli ultimi 75 anni. I soldati israeliani vengono educati al valore della vita propria e di quella dei propri nemici, non a bruciare o sgozzare bambini, civili, donne e disabili».

Queste stragi le ricordano la Shoà?

«Purtroppo, anche se non amo fare paragoni con la Shoà, è da allora che non erano morti così tanti ebrei in un solo giorno. Il 7 ottobre 2023 con il suo bilancio ancora provvisorio di 1.300 morti, 2.800 feriti e 200 deportati, è stato peggio dell’11 settembre 2001 perché oltre al terrorismo si è scatenato il lato più tremendo della crudeltà umana».

Come pensa di interfacciarsi con la società torinese?

«Penso che sia necessario comunicare al più ampio numero di persone ciò che sta accadendo per poter fare le giuste valutazioni».

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