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LE REAZIONI

«Voleva colpire noi ebrei» E alla sinagoga di Torino la sorveglianza è rafforzata

La preoccupazione delle comunità ebraica e islamica dopo l'attentato di Bruxelles: «Serve dialogo per distendere gli animi»

«Voleva colpire noi ebrei» E alla sinagoga di Torino la sorveglianza è rafforzata

L'uomo col coltello che ha seminato il panico attorno alla sinagoga

A poche ore dall’attentato di Bruxelles anche qui a Torino scatta l’allarme sicurezza dopo il raptus di follia avvenuto vicino alla sinagoga di Torino in piazzetta Primo Levi nel quartiere San Salvario. Pare infatti che l’obiettivo dell’uomo col coltello fossero proprio gli ebrei. «Voleva colpirci» dice chi frequenta la comunità ebraica di Torino che sta vivendo momenti poco sereni seguendo con apprensione gli eventi.

«Dopo il fatto di Bruxelles il livello di sicurezza è stato ulteriormente alzato. Serve dialogo tra le comunità» sottolinea il rabbino capo della comunità di Torino, Ariel Finzi, che ieri ha fatto un giro della città per affiggere i manifesti degli ostaggi sequestrati da Hamas per cui si attende la liberazione. La conferma arriva anche dalla questura di Torino: «Abbiamo potenziato i controlli nelle aree sensibili come la sinagoga» spiegano ma senza scendere nei dettagli per motivi di sicurezza.

Certo il clima è molto teso. Ma i rapporti tra la comunità ebraica e islamica sono saldi. I capi religiosi di Torino infatti sono in contatto tra loro ed esprimono tutti la necessità di un confronto. «La comunità musulmana di Torino, formata da circa 50mila persone, è molto tranquilla ed equilibrata, un pazzo può sempre esserci ma non persegue principi dell’Islam che non predica la violenza» spiega l’imam torinese Idris Abd al Razzaq Bergia, segretario generale della Coreis (comunità religiosa islamica) italiana. «L’attacco di Hamas in Israele, così come l’attentato di Bruxelles, non hanno nulla di religioso, i sapienti dell’Islam si facevano problemi a tagliare le piante, figuriamoci a uccidere donne e bambini. La stessa “jihad” che significa “sforzo” viene male interpretata dai terroristi che non rappresentano in alcun modo il mondo islamico commettendo barbarie o attentati ingiustificabili» spiega l’imam che ci tiene a sottolineare: «La necessità di perseguire il dialogo religioso che non si è mai interrotto».

Lo stesso concetto è espresso anche da Younis Twfik, presidente del centro culturale Dar al Hikma che ospita spesso incontri con la comunità ebraica. «Qui vivono principalmente marocchini, poi egiziani, tunisini, ma ci sono anche palestinesi che sono bene integrati. Torino - aggiunge - non è Bruxelles e neppure Parigi, ma cerchiamo di lavorare insieme per distendere gli animi e per far sì che anche le persone più deboli e influenzabili non compiano gesti folli».

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