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L'ALLARME

Chiuso un negozio di abbigliamento su tre a Torino. Ecco perché

Confesercenti: «Così Torino diventa una città sempre meno sicura e attraente»

Chiuso un negozio su tre in dieci anni: La crisi senza fine dell’abbigliamento torinese

La crisi del commercio e dei negozi a Torino sembra inarrestabile. I saldi che dovrebbero incentivare i clienti agli acquisti non funzionano più e il risultato è una progressiva desertificazione commerciale con le attività che restano vuote o lasciano il posto ad abitazioni private.

Abbigliamento: -30%
Il settore più in crisi è senza dubbio quello dell’abbigliamento che in poco più di 10 anni ha perso quasi un negozio su tre. Dai dati di Confesercenti emerge infatti che dal 2009 al 2022 a Torino e provincia sono spariti ben 1.196 negozi: il -31%, a fronte di un -18% degli altri settori, per un totale di oltre 4mila imprese sparite nel nulla. Se si aggiunge l’ambulantato, altre 1.400 imprese, si raggiunge un totale complessivo di quasi 6mila aziende in meno a Torino, tra chiusure e nuove aperture.

I dati al terzo trimestre 2023, forniti da Camera di commercio di Torino sono più ottimisti e parlano di una natimortalità degli ultimi 9 anni, da 2014 al 2023, del -25%, un negozio di abbigliamento in meno su quattro, ma soltanto perché chi chiude bottega in genere lo fa a fine anno.

Inflazione e tassi
La situazione è seria e al momento non ci sono grandi prospettive di ripresa in vista. «Ormai da molti anni assistiamo a una grande difficoltà del commercio di vicinato a Torino. Mi auguro che nel 2024 possano abbassarsi inflazione e tassi di interesse in modo tale che si riprendano i consumi» dichiara il presidente di Confesercenti, Giancarlo Banchieri: «Ma è molto difficile - aggiunge - che si verifichi un’inversione di tendenza». 

Allarme sicurezza e commercio online
A pesare, tra i tanti fattori, è soprattutto la concorrenza impari con il commercio online. «Con il Covid è cambiato l’atteggiamento verso gli acquisti dei consumatori, oggi si preferisce comprare davanti a uno schermo favorendo lo sfruttamento delle persone che effettuano le consegne e i commercianti non ci guadagnano» sottolinea Micaela Caudana, presidente di Fismo Confesercenti Torino. «Applicare lo stesso modello di Amazon ai piccoli negozi è impossibile - aggiunge - considerando i costi, quadruplicati nell’ultimo periodo, e considerando il fatto che il 40% degli acquisti si tramuta in resi».

Ma i problemi riguardano anche la vivibilità della città. «La perdita di un terzo dei negozi di abbigliamento a Torino e provincia in dieci anni rappresenta un grave depauperamento del tessuto urbano artigianale cittadino e questo ha effetti negativi in termini di sicurezza e turismo» sottolinea Caudana: «Il territorio deve fare a meno di presidi importanti e la gente non va in giro volentieri in certe zone di città per vedere negozi chiusi o abitazioni sorte dove prima c’erano attività commerciali».

L’usato come risorsa
Se i negozi di vestiti canonici chiudono, c’è però settore di abbigliamento in espansione. «E’ il mercato dell’usato» spiega la presidente di Fismo: «Perché ha maggiore identità e ha una grande valenza ambientale. Ovviamente - aggiunge - i posti di lavoro si riducono rispetto al nuovo e anche gli incassi».

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