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L'inchiesta

«Io ti sparo in bocca»: il boss minacciava, incassava e prendeva gli appalti

Ecco come la cosca della 'ndrangheta comandava nel Torinese fra autostrada, minacce e "protezione"

«Io ti sparo in bocca»: così il boss incassava e prendeva gli appalti

Foto di repertorio

«Ti meriteresti sparato in bocca. Vai dai carabinieri e io ti sparo in bocca». Bastano queste due frasi a coprire buona parte del campionario della ‘ndrangheta: a dirle è l’80enne Giuseppe Pasqua, arrestato l’altro ieri perché ritenuto il boss della locale di Brandizzo. Il quale si rivolgeva così a un agente di vendita di prodotti petroliferi, che vantava crediti per 22mila euro con la “Autotrasporti Claudio” dei Pasqua. Risultato? Il debito è stato rateizzato.
Si può partire da questo episodio specifico per raccontare come le cosche abbiano fatto la parte del leone a Torino e provincia. Ma è solo un esempio delle infiltrazioni che sono arrivate fino ai palazzi del potere e agli appalti milionari dell’autostrada A32, la Torino-Bardonecchia. Fino a quando dieci anni di indagini si sono compiuti con nove arresti fra boss, picciotti e manager, eseguiti prima dell’alba di giovedì. Ma il quadro complessivo dell’inchiesta è molto più ampio, con 29 indagati complessivi e ramificazioni nei cantieri e nella politica: le accuse vanno da associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, ricettazione, detenzione illegale di armi e riciclaggio in relazione ai proventi di un traffico di rifiuti.

Protezioni e minacce

I destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere Giuseppe Pasqua, Domenico Claudio Pasqua, Antonio Mascolo, Carlo Balzamo e Luca Michael Pasqua (che si trova a Miami e non è ancora stato arrestato). Sono ai domiciliari Roberto Fantini, Roberto Carvelli, Edoardo Carvelli e Danilo Scardino.
Secondo gli atti dell’inchiesta, Giuseppe Pasqua era al vertice di un’organizzazione mafiosa di cui facevano parte anche il figlio Domenico Claudio Pasqua, il cugino Michael Pasqua e Roberto Taverniti. Anzi, nel 2015, Domenico Claudio aveva ricevuto una “dote” dalla ndrina di riferimento in Calabria, la locale di San Luca. In sostanza, era andato in “pellegrinaggio” al santuario della Madonna di Polsi, luogo simbolo della ‘ndrangheta, ed era salito di “grado”.

La statua della Madonna della Montagna al santuario di Polsi (foto di Gino Larosa)


Secondo quanto ricostruito, l’associazione con sede a Brandizzo era legata alle locali di Volpiano, Chivasso e Santhià. Pianificava attentati incendiari e offriva “protezione” agli imprenditori vittime di gruppi rivali, ottenendo in cambio soldi e commesse. Un esempio è quanto successo con il titolare di una società di revisioni, al centro di una beffa: per essere protetto dalle estorsioni di altri gruppi, ha dovuto pagare 100mila euro ai Pasqua. I quali, come detto, usavano pressioni e minacce per avere vantaggi con fornitori e clienti. Non solo, avevano contatti anche con gli amministratori pubblici e si erano inseriti nel piano di accoglienza migranti del Comune di Brandizzo, facendo pressioni sui proprietari degli immobili destinati a ospitare i richiedenti asilo.

Le mani sui cantieri

Ma il vero business della locale era negli appalti, grazie al rapporto diretto con il costruttore Roberto Fantini e ai suoi ruoli nelle aziende di famiglia e in Sitalfa, partecipata di Sitaf, la società che gestisce l’autostrada Torino-Bardonecchia. Secondo l’accusa, grazie all’imprenditore 55enne, la Autotrasporti Claudio otteneva lavori di trasporto e movimento terra da Sitalfa e Cogefa, il gruppo della famiglia Fantini.

La società dei Pasqua ha continuato a ricevere commesse anche dopo che era stata inserita nell’elenco della aziende interdette (la cosiddetta “white list” antimafia). Inoltre il costruttore, in quanto “concorrente” nell’associazione mafiosa, consentiva alla società dei Pasqua di fare gasolio dal distributore di carburante della Sitalfa e di presentare fatture ben superiori all’attività effettivamente svolta. E, stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, una parte di questi guadagni illeciti finivano proprio nelle tasche di Fantini.

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