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L'intervista della settimana

Il procuratore generale si racconta tra uffici al 50% e «l’allarme anarchici»

Colloquio con Lucia Musti, da tre mesi a capo dei magistrati di Piemonte e Valle d'Aosta

Lucia Musti procuratore generale

Dal "reclutamento" nei concorsi degli enti locali all'appello di «abbassare i toni dopo settimane di tensione fra governo e magistratura»: punta sulla concordia istituzionale Lucia Musti, dal 13 settembre procuratore generale del Piemonte e della Valle d'Aosta. Uno degli obbiettivi principali è risolvere i problemi di organico che stanno mettendo in difficoltà i magistrati: «Abbiamo una scopertura media di personale amministrativo del 50%» segnala Musti.

Lucia Musti, 66 anni, è originaria di Sabaudia (Latina) ed è entrata in magistratura nel 1983. Dopo aver svolto il tirocinio a Napoli, è stata giudice al tribunale di Lanusei (Nuoro). In seguito è stata giudice per i minorenni a Trieste e, dal 1989 al 2009, sostituto procuratore a Bologna, dove ha lavorato anche alla Direzione distrettuale antimafia. Poi si è spostata a Modena: qui ha ricoperto il ruolo di procuratore aggiunto e di procuratore capo fino al 2019, quando è ritornata a Bologna come "reggente" della procura generale. Infine è stata un anno (dal 2 agosto 2023 al 2 agosto 2024) in applicazione alla procura di Gela. Quindi è arrivata la «sfida torinese», come l'ha definita lei stessa: il nuovo incarico da procuratore generale di Piemonte e Valle d'Aosta è iniziato il 13 settembre scorso.

Quali sono le sue prime impressioni dopo tre mesi a Torino?

«Premetto che, come procuratore generale, esercito la vigilanza ed il controllo sulle Procure della Repubblica del distretto del Piemonte e della Valle d'Aosta, che conta ben 11 procure: posso dire di aver trovato un distretto molto complesso, oltre ad essere il più grande d’Italia e l’unico ad avere competenza su due Regioni. Magistrati e personale amministrativo hanno una grande professionalità e sono molto impegnati a sopperire alle spaventose carenze che caratterizzano tutti gli uffici giudiziari delle due regioni, sia sotto il profilo dei funzionari sia dei magistrati. C’è una generale inadeguatezza di mezzi e uomini, nell’errata convinzione che qui al Nord vada tutto bene e non ci occorra nulla solo perché siamo (e includo anche me stessa) abituati a lavorare “a testa bassa” senza lamentarci. Invece non è così: per quanto riguarda gli uffici amministrativi, la media delle carenze dei 12 uffici è del 50%, mancano i Sostituti Procuratori e decine e decine di figure professionali».

Come si risolve questa emergenza?

«Il procuratore generale non ha la bacchetta magica né ha poteri di alcun tipo, se non quello di raccogliere le richieste dei procuratori, mettere insieme i dati e rappresentare le istanze agli uffici competenti, cioè Ministero della Giustizia e Csm (Consiglio superiore della magistratura, ndr). In concreto, però, abbiamo avviato una vera e propria prassi virtuosa: c'è una interlocuzione in corso con il competente ufficio del personale del Ministero e i responsabili del personale di Regione, Città metropolitana e Città di Torino. L'idea è di far scorrere le graduatorie dei vincitori dei concorsi di quegli enti e di farli confluire nei nostri uffici con oneri a carico del Ministero, ovviamente. Poi applicheremo questa prassi con la Valle D’Aosta. Non sarà risolutivo ma è comunque un bel segnale perché vede la collaborazione delle istituzioni».

Quando si concretizzerà questa interlocuzione?

«Non dipende da me ma penso nei prossimi mesi. Il Ministero farà sicuramente in tempi rapidi perché ci sono uffici in grande difficoltà: si parla da anni della situazione di Ivrea ma anche Torino è messa malissimo. Così è pesante per tutti».

Nel giorno del suo insediamento ha parlato molto di criminalità organizzata e delle sue infiltrazioni sempre più profonde in Piemonte. Come si può intervenire?

«In questo territorio, sotto il profilo della criminalità mafiosa, ho trovato le medesime caratteristiche dell’Emilia-Romagna. Al Nord le mafie si insediano perché c'è l’humus ideale per fare affari nei vari settori che caratterizzano il territorio: movimento terra, trasporto, Terzo settore, turismo e divertimento, tutte attività lecite a cui si aggiungono le tradizionali attività illecite, ad esempio il traffico di stupefacenti. Qui ci sono mafie imprenditoriali e silenti, perfettamente inserite nei contesti socioeconomici locali. E spesso sono anche accettate dai cittadini, che non ricevono fastidi ma benefici perché queste infiltrazioni portano lavoro. Ma devo dire che, oltre al problema della criminalità organizzata, ho trovato un grosso allarme dal movimento anarco-insurrezionalista: al di là della parte buona ed etica del movimento No Tav, vediamo che le manifestazioni di maggior eccesso avvengono a Torino più che altrove. E non si manifesta solo ma si trascende, per usare un eufemismo».

Le ultime tensioni risalgono solo alla settimana scorsa. Come si spiega questa tendenza torinese?

«Tutti i fenomeni criminali, ad esempio la mafia, hanno una spiegazione storica, sociale ed economica (penso al brigantaggio meridionale per la mafia). Torino è stata la capitale della sana società operaia ed infatti è stata protagonista dei cortei che – ai tempi del cosiddetto "autunno caldo" – hanno visto manifestare uniti studenti ed operai ma è stata anche protagonista, questa volta in senso negativo, anche negli anni del terrorismo. Credo che la situazione sia figlia di quella storia, con l’aggiunta dei lavori della Tav che hanno risvegliato e ampliato certi comportamenti. Qui c'è anche una tradizione di centri sociali e di gruppi che, in altre zone, si limitano a fare occupazioni di suoli ed edifici. In quei casi ci sono anche iniziative positive (culturali, musicali, di aggregazione giovanile), invece mi sembra che qui ci siano finalità che di positivo hanno ben poco».

Il risultato è un senso di insicurezza, che molti torinesi e piemontesi vivono sempre di più. Colpa soprattutto della piccola criminalità, dallo spaccio ai furti, che colpiscono i centri come le periferie.

«Non si può chiedere di più dell’impegno straordinario che stanno mettendo forze dell’ordine e magistratura. Ma sappiamo che per i cittadini non è mai abbastanza: chiediamo sempre più sicurezza e non siamo mai contenti, anche se di fatto ce l'abbiamo già. Non ci sarà mai un luogo totalmente sicuro, se non un'isola deserta. Anche perché basta un attimo per far degenerare una situazione stabile: penso ai luoghi della movida, dove uno sguardo sbagliato può portare alle coltellate. Al contrario, basta poco per sentirsi sicuri. Ma è sempre una sensazione "a termine", è sempre tutto molto relativo e complesso perché la sicurezza è a macchia di leopardo, sono coinvolti tante istituzioni e tanti soggetti e riguarda una complessità di fattori. Io credo che l'impegno sia massimo ma anche lì servono uomini e risorse, in particolare nei quartieri più problematici».

Di recente c'è stata la Giornata contro la violenza sulle donne. I dati delle procure di Torino e Ivrea parlano di 15 denunce al giorno, con un aumento di tutti i reati da Codice rosso, stupri compresi. Anche questa è un'emergenza.

«Io credo che la questione non sia demandata solo alla leggi e all’azione di magistratura e forze dell’ordine ma che sia un problema culturale, a partire dall’educazione fin da piccoli dei nostri figli. Oltre ad essere necessaria una maggiore solidarietà femminile perché a volte amiche e familiari minimizzano le azioni di marito e compagno. E alle ragazze dico di non andare mai all'ultimo appuntamento con un uomo perché si rivela l'ultimo solo per lei».

Un'altra emergenza è quella delle carceri, dove sovraffollamento e condizioni difficili stanno mettendo a dura prova detenuti e agenti di polizia penitenziaria. Lei ha parlato anche di amnistia e indulto come possibile soluzione.

«Non mi permetto di dare suggerimenti al governo ma, credo che a fronte di 80 suicidi in un anno, possa essere una strada da battere. Anche perché la legge Nordio non ha risolto immediatamente i problemi. Ovviamente non dico di far uscire chiunque ma di guardare a chi ha un passato criminale compatibile con il reinserimento nella società: mi sembra più rapido che costruire nuove carceri. Non sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica e aiuterebbe ad arginare la situazione delle carceri, dove registriamo 2-3 rivolte al mese. Poi ben venga l'arrivo del nuovo personale di polizia penitenziaria, come annunciato dal sottosegretario Andrea Delmastro: il carcere non è un asilo nido, dove si lavora a contatto con bambini sorridenti. È una pena anche per gli agenti, sono i primi ad aver bisogno che si alzi l’asticella in modo da evitare che la situazione peggiori e anche loro vadano oltre le regole».

Nell'ultimo periodo ci sono state forti tensioni fra Governo e magistratura. Cosa ne pensa?

«Sì, è un periodo in cui i toni sono molto alti e a volte anche irrispettosi del principio della separazione dei poteri e dell’autonomia e della indipendenza della magistratura. Io credo che i magistrati italiani vogliano solo svolgere la funzione che li ha portati a presentarsi e vincere il concorso: vogliono fare il loro dovere senza essere attaccati come capitato ultimamente. D'altro canto, è diverso se qualcuno incorre in un errore con responsabilità civile, penale e disciplinare: è giusto sanzionare i comportamenti inadeguati. Ma occorre abbassare i toni da una parte e dall’altra».

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