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Il caso

Accuse shock ad Askatasuna: «Mi hanno picchiata e ho perso il bambino»

Il racconto della donna e di suo marito emerge dagli atti del processo contro i militanti del centro sociale

Accuse shock ad Askatasuna: «Mi hanno picchiata e ho perso il bambino»

«Mi prendevano a pugni e non mi lasciavano uscire. Poi ho perso il bambino».

È l’accusa shock ai militanti del centro sociale Askatasuna: a muoverla è una donna di origine nigeriana, intervistata dal programma televisivo “Quarta Repubblica”. Ma è già tutto contenuto negli atti del processo a 28 militanti di Askatasuna, di cui buona parte sono accusati di associazione a delinquere ma anche di violenza privata, rapina, estorsione e sequestro di persona. L’episodio contestato è avvenuto al civico 7 di corso Ciriè, dove ha sede lo “spazio occupato Neruda”, gestito proprio dai militanti di Askatasuna. E il fatto raccontato dalla coppia di nigeriani confermerebbe come, dietro l’occupazione, ci sarebbero violenze, spaccio e altre forme di illegalità.

«Bisogna picchiarlo»

I fatti risalgono al 22 maggio 2020 e sarebbero avvenuti proprio nei locali di corso Ciriè. La donna nigeriana, stando a quanto si legge negli atti del processo, viveva proprio lì insieme al marito e a una bambina. E quel giorno, di quasi cinque anni fa, sarebbe stata vittima di una sorta di raid punitivo: “un’azione collegiale di forza da parte degli aderenti al sodalizio criminale”, scrivono gli inquirenti. Convinti che la famiglia sia stata cacciata e aggredita perché non pagava la quota per la stanza all’interno di Neruda. Ma anche perché, a quanto pare, non partecipavano a sufficienza alle manifestazioni organizzate da Askatasuna. Si possono interpretare in questo senso le frasi (intercettate) del leader del centro sociale Giorgio Rossetto: «Noi non siamo la Caritas, se non c’è un minimo di impegno che cazzo ci vengono a fare qui?».

Sempre intercettati dagli investigatori della Digos, i militanti poi finiti a processo parlano direttamente del nigeriano “nel mirino”: «È un nero che rompe i cogl..., sto neg... che non si fa i cazzi suoi - si dicono fra di loro - Bisognerebbe portarlo nelle cantine in quattro, minacciarlo e picchiarlo». I militanti avrebbero pianificato il raid in anticipo, come sembra emergere da un’altra intercettazione: «Tu vai lì in 30, brutti e cattivi, e se qualcuno esagera gli dai qualche bastonata in mezzo alle gambe per metterlo giù».

La paura di morire

Stando a quanto ricostruito, la donna sarebbe stata chiusa nella sua stanza e picchiata mentre il marito veniva circondato fuori dall’edificio, come ha raccontato nelle sue deposizioni. «Mi hanno colpito a calci e con un tirapugni di ferro, anche quando ero a terra». «Quando sono uscita, l’ho visto ed era pieno di sangue ovunque» prosegue la moglie a Quarta Repubblica. Poi la donna ripercorre anche quello che è successo a lei: «Io gridavo aiuto, ero chiusa dentro e cercavo di chiamare mio marito con il cellulare. Ma mi hanno tolto il telefono e mi hanno picchiata. Ero incinta, nei giorni successivi ho perso molto sangue e ho avuto forti dolori. Poi ho perso il bambino». A sentire la signora, non era neanche la prima volta che qualcuno venisse aggredito al Neruda: «Ma noi non ce lo aspettavamo, non avevamo mai avuto problemi prima: non eravamo nemici, è stato tutto all’improvviso. A me hanno picchiato in 5 o 6, erano uomini e donne: ho fatto il riconoscimento con la polizia. Contro mio marito erano ancora di più, lo hanno picchiato e avevo paura che morisse per le botte: Dio ci ha salvato».

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«Se non ti pieghi alle loro logiche, ti aggrediscono: la violenza è l’unica cifra distintiva dei centri sociali. Eppure, c’è ancora una parte politica che continua a difenderli».

Non usa mezzi termini Fratelli d’Italia che, sui suoi profili social, condivide il servizio di Quarta Repubblica sulle aggressioni a una coppia di nigeriani che vivevano nello “spazio occupato Neruda” di corso Ciriè. I responsabili sarebbero alcuni degli imputati del maxi processo contro il centro sociale Askatasuna, per un totale di 28 militanti definiti «professionisti della violenza» dal pubblico ministero Manuela Pedrotta. La quale ha chiesto un totale di 88 anni di carcere per i 28 imputati, di cui 16 accusati di associazione per delinquere. Ma anche di reati specifici come la violenza privata, che in corso Regina Margherita 47 ha la base per «organizzare le azioni violente» e che può contare su luoghi abusivamente occupati in corso Ciriè e ai Murazzi, «dai quali traevano risorse economiche».

Sulla vicenda è intervenuta anche Augusta Montaruli, vice capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera: «La magistratura vada fino in fondo sul centro sociale torinese di Askatasuna. Le notizie riportate da una trasmissione televisiva, che si aggiungono alle intercettazioni pubblicate qualche giorno fa, confermano un quadro preoccupante e allarmante e un inaccettabile racket violento sulla pelle dei più deboli, come gli immigrati. Un luogo in cui si immaginano e organizzano tali atti va sgomberato. Askatasuna è un pericolo non solo per i torinesi ma per l’Italia».

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