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POLITICA
02 Maggio 2025 - 11:05
Le retribuzioni reali in Italia restano al centro del dibattito politico ed economico, mentre il tema del salario minimo torna con forza nell’agenda parlamentare. Secondo gli ultimi dati Istat, a marzo 2025 le retribuzioni contrattuali reali risultano ancora inferiori di circa l’8% rispetto a gennaio 2021, segno di una perdita di potere d’acquisto che pesa sulle famiglie e sui lavoratori italiani. Su questo scenario si innestano le nuove proposte di legge di maggioranza e opposizione, che puntano a rispondere a una delle questioni più urgenti del mercato del lavoro nazionale: come garantire stipendi più equi e adeguati al costo della vita?
La Lega ha annunciato la presentazione di un nuovo disegno di legge sui salari, che punta su un meccanismo automatico di adeguamento degli stipendi e delle pensioni all’andamento dei prezzi al consumo calcolato dall’Istat. Il sistema prevederebbe un limite massimo di incremento del 2% annuo, con l’obiettivo dichiarato di proteggere il potere d’acquisto dei lavoratori e contrastare fenomeni come il dumping contrattuale, la concorrenza sleale e il lavoro nero.
Un altro elemento centrale della proposta leghista è il cosiddetto “trattamento economico accessorio”, ovvero un’integrazione salariale legata al costo della vita nelle diverse aree del Paese. In pratica, chi lavora in una grande città – dove le spese sono più alte – potrebbe percepire un aumento maggiore rispetto a chi opera in un piccolo centro. Un sistema che richiama quello delle storiche “gabbie salariali”, con il rischio di accentuare le differenze tra Nord e Sud Italia.
Sul fronte opposto, le forze di minoranza – Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra – hanno depositato una proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre un salario minimo legale di 9 euro lordi all’ora. La misura, secondo i promotori, rappresenterebbe una garanzia per i lavoratori dei settori più fragili e meno tutelati dalla contrattazione collettiva, dove spesso il potere negoziale dei sindacati è debole e i salari sono al di sotto della soglia di dignità.
La proposta prevede che la soglia dei 9 euro si applichi solo alle clausole relative ai “minimi” salariali, lasciando alla contrattazione collettiva la regolazione delle altre voci retributive. L’obiettivo è duplice: da un lato, rafforzare la tutela dei lavoratori più esposti al rischio di sfruttamento; dall’altro, evitare che la fissazione di un minimo legale indebolisca il ruolo dei contratti collettivi nazionali.
L’Italia resta tra i pochi Paesi europei senza un salario minimo fissato per legge: solo Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia condividono questa caratteristica. La recente direttiva europea sui salari minimi, entrata in vigore nel novembre 2024, impone agli Stati membri di garantire retribuzioni minime adeguate, pari almeno al 60% del salario mediano lordo nazionale, per assicurare una vita dignitosa ai lavoratori. Il mancato recepimento della direttiva da parte dell’Italia ha alimentato le critiche delle opposizioni, che accusano il governo di inerzia e di non aver ancora messo in campo una riforma strutturale per combattere il lavoro povero e il calo dei salari reali.
Il dibattito sul salario minimo divide anche il mondo sindacale e le associazioni di categoria. Se da un lato la misura viene vista come uno strumento per ridurre le disuguaglianze sociali e la povertà lavorativa, dall’altro c’è chi teme che possa danneggiare le imprese più piccole e portare a un aumento della disoccupazione tra i lavoratori meno qualificati. La CGIL, in una recente audizione parlamentare, ha sottolineato la necessità di un confronto più ampio e trasparente sulle modalità di recepimento della direttiva europea e ha espresso perplessità su alcune proposte che rischiano di introdurre nuove differenziazioni salariali su base territoriale.
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