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Turismo
01 Giugno 2025 - 13:15
In Croazia, il desiderio di offrire ai visitatori panorami da sogno sta spingendo molte località turistiche a modificare drasticamente i propri litorali. Con appena il 6% delle coste naturalmente sabbiose, il Paese – che conta circa 8.000 chilometri tra terraferma e isole – si sta affidando sempre più a interventi artificiali per rispondere alle aspettative del mercato turistico. Tuttavia, non mancano voci critiche che denunciano l’impatto ambientale di queste trasformazioni.
Nonostante l’immaginario collettivo associ l’Adriatico croato a spiagge sabbiose e acque trasparenti, la realtà geologica della regione è ben diversa. La maggior parte della costa è costituita da scogliere o ciottoli, e per questo motivo molti comuni hanno iniziato a "ricostruire" tratti di litorale con materiali portati da cave o dragati dai fondali marini. Una delle località simbolo di questa tendenza è Primosten, tra Spalato e Zara.
Durante la bassa stagione, il paesaggio è dominato da camion che depositano tonnellate di ghiaia finemente macinata, destinata a diventare la nuova "sabbia" per la stagione estiva. Il processo di “espansione” è iniziato più di un decennio fa, su iniziativa del sindaco Stipe Petrina, che ha sottolineato come l’obiettivo fosse rendere il mare accessibile a tutti. A suo dire, l’intervento era necessario: a fronte di un’affluenza che può superare i 15.000 turisti contemporaneamente, la spiaggia originale poteva ospitarne al massimo un settimo.
Negli anni, le autorità locali hanno proceduto con determinazione, nonostante le critiche ricevute da ambientalisti e cittadini. Il primo cittadino ha riconosciuto che il progetto ha comportato l'uso massiccio di roccia di cava e modifiche significative al paesaggio naturale, ma ha ribadito che oggi quei lidi sono frequentati dalla stragrande maggioranza dei visitatori. Chi preferisce un ambiente più naturale, ha aggiunto, è sempre libero di cercare calette rocciose nei dintorni – anche se pochi lo fanno davvero.
Il caso di Primosten non è isolato. L’ingegnere costiero Dalibor Carevic, docente all’Università di Zagabria, ha fatto notare come la tendenza sia comune anche in altri Paesi mediterranei, come Italia, Francia e Spagna. Tuttavia, ha sottolineato che l’Adriatico croato è meno adatto a ricevere sabbie esterne: la scarsità di fiumi limita l’apporto naturale di sedimenti, rendendo il mare più vulnerabile a ogni intervento umano. E mentre aumenta la pressione turistica, si moltiplicano anche le infrastrutture: parcheggi, strade, porti. Tutto a scapito del paesaggio marino originario.
In mezzo a questa corsa all’artificializzazione, esiste però un esempio virtuoso. Sull’isola di Dugi Otok, la spiaggia di Sakarun ha scelto una strada diversa. Per anni, ogni primavera, camion rimuovevano dalla riva la posidonia oceanica – pianta marina fondamentale per la salute degli ecosistemi – per lasciare spazio alla sabbia. Oggi, grazie al lavoro della geologa Kristina Pikelj, questo processo è stato interrotto.
Secondo la ricercatrice, la rimozione sistematica della posidonia favoriva l’erosione, privando le spiagge del loro naturale sistema di difesa. Dal 2021, ha avviato un progetto di tutela che include il temporaneo spostamento delle piante marine, per poi reintrodurle a fine stagione. Parallelamente, ha coinvolto la popolazione locale e i turisti in iniziative educative, per far comprendere l’importanza di queste praterie sottomarine per la biodiversità e la stabilità del litorale.
Nonostante i numerosi interventi per mantenere attraenti le spiagge croate, gli esperti avvertono che il cambiamento climatico potrebbe annullare in breve tempo gli sforzi fatti finora. L’innalzamento del livello del mare e la maggiore frequenza di mareggiate mettono a rischio le spiagge artificiali, che rischiano di essere "schiacciate" tra le acque e le costruzioni a ridosso della costa.
Anche se al momento il turismo rappresenta una voce fondamentale per l’economia nazionale – con un giro d’affari che ha superato i 14 miliardi di euro nel 2024 – alcuni studiosi insistono sulla necessità di trovare un equilibrio sostenibile. Tra loro, Kristina Pikelj continua a monitorare Sakarun, affiancata da giovani studenti che raccolgono dati e campioni. Secondo Marija Meklav, 24 anni, impegnata nel progetto, è fondamentale investire in conoscenza e prevenzione: la sua generazione – dice – ha la responsabilità e l’opportunità di cambiare rotta.
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