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Giornata mondiale dell’Alzheimer: ecco le nuove frontiere della ricerca

Il 21 settembre si celebra la giornata dedicata alla malattia neurodegenerativa: tra terapie sintomatiche, studi innovativi e speranze di prevenzione

Giornata mondiale dell’Alzheimer: ecco le nuove frontiere della ricerca

Foto di repertorio

Il 21 settembre, dal 1994, è dedicato alla Giornata mondiale del morbo di Alzheimer, istituita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Alzheimer Disease International per sensibilizzare su una patologia che colpisce oggi circa 24 milioni di persone nel mondo. Il peso non è solo clinico, ma anche sociale ed emotivo: un caregiver su tre soffre di sintomi depressivi persistenti.

Descritta per la prima volta dal neuropatologo Alois Alzheimer nel 1906, la malattia comporta un lento ma irreversibile declino delle funzioni cognitive. I primi segnali possono restare nascosti per anni, fino a quando compaiono difficoltà di memoria, disorientamento, ansia o comportamenti paranoici. Nelle fasi più avanzate, la compromissione delle capacità cognitive diventa totale.

Le cause restano in gran parte sconosciute. Solo il 10% dei casi ha una base ereditaria, legata a geni come APOE-e4, APP, PSEN1 e PSEN2. Negli ultimi anni, però, la ricerca ha messo in luce nuove possibili connessioni: dal ruolo della proteina Medin nei vasi cerebrali, ai cosiddetti “granuli di stress” che alterano il trasporto molecolare nelle cellule, fino alla microglia che, se iperattivata, può favorire la degenerazione. Alcuni studi hanno anche individuato un possibile legame con il citomegalovirus, un virus intestinale capace di raggiungere il cervello attraverso il nervo vago.

Sul fronte delle cure, le terapie disponibili restano sintomatiche. Si usano inibitori dell’acetilcolinesterasi, antipsicotici e memantina per rallentare i sintomi, mentre trattamenti non farmacologici come stimolazione cognitiva, fisioterapia e terapia occupazionale si affiancano ai farmaci. Promettente è la scoperta di un complesso molecolare, Fib-1-Nol-56, che sembra proteggere le cellule cerebrali attraverso la proteostasi.

La prevenzione gioca un ruolo cruciale. Secondo uno studio pubblicato su JAMA Network, la dieta Mind – ricca di alimenti vegetali, pesce e carni bianche – aiuta a rallentare il declino cognitivo. Anche l’attività fisica regolare tra i 45 e i 65 anni, secondo i ricercatori di ISGlobal a Barcellona, può ridurre il rischio di sviluppare la malattia.

In attesa di una cura definitiva, la ricerca scientifica continua a fornire nuove speranze, mentre la giornata mondiale del 21 settembre invita a riflettere su un tema che coinvolge milioni di famiglie in tutto il mondo.

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