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Alta tensione a Torino
23 Dicembre 2025 - 01:38
Sguardo a tratti rivolto verso l'alto, braccia conserte e un'insofferenza palpabile in attesa di potere avere la parola, dopo che già era stato interrotto da un: «Questa volta però ascolti le nostre repliche», del consigliere FdI Enzo Liardo.
È il primo giorno di una settimana nuova. La settimana uno dallo sgombero del centro sociale Askatasuna. E il sindaco di Torino Stefano Lo Russo, ora come dopo l'assalto del quotidiano La Stampa (a fine novembre) e, prim'ancora, delle Ogr (ad ottobre), è chiamato a rispondere di quello che, a buon diritto, può essere considerato il "patto della discordia" della consiliatura Lo Russo. Il patto di co-progettazione con i garanti del centro sociale Askatasuna di corso Regina 47, deliberato dalla maggioranza in Consiglio comunale il 12 gennaio 2024, che aveva messo fine all'occupazione abusiva iniziata nel 1996.
È proprio da qui che parte Lo Russo, da una ricostruzione precisa e puntuale degli step che hanno portato alla regolarizzazione del centro, dopo i circa 28 anni di tolleranza di fatto. Arrivando alla deflagrazione: le perquisizioni, culminate con lo sgombero, lo scorso giovedì 18 dicembre per «l'incompatibilità della presenza di sei persone ai piani superiori, decretati inagibili».
Il patto non poteva più sussistere. Così, poco dopo la notifica della prefettura alla Città della presenza di persone nell’edificio, il sindaco avvisava i garanti che il patto era decaduto.
E se poi, nel pomeriggio di ieri, ha ribadito di avere «creduto e messo in campo ogni strumento di confronto» a sua disposizione, rivendicando il dialogo portato avanti, quel che con oggi appare chiaro è che Lo Russo non ne sapeva niente. «L'amministrazione non è mai stata preventivamente informata né della portata complessiva, né delle finalità investigative dell'operazione di polizia giudiziaria, né delle motivazioni che hanno condotto alla scelta della data del 18 dicembre», sono state queste le sue parole esatte.
Il sindaco, cioè, non solo non sapeva dell'ordine del Viminale, ma nessuno glielo aveva detto. Anche se proprio il giorno prima si era radunato il Comitato per la Sicurezza e l'Ordine Pubblico.
E lo ribadisce nel tornare a difendere il Patto: «Ci abbiamo creduto. Governare vuol dire tentare soluzioni. Rinunciare non è prudenza, è rinuncia alla responsabilità». L'operazione del 18 dicembre, «non una scelta politica o amministrativa, ma giudiziaria». La condanna delle violenze resta netta: «La libertà non è libertà di praticare la violenza. Quando quella linea viene superata, si passa dalla parte del torto». Ma dal sindaco arriva anche un avvertimento: «Non accettiamo lezioni da nessuno. Le dichiarazioni incendiarie di alcuni ministri, che evocano ruspe sui centri sociali, sono semplificazioni pericolose, che mirano a distrarre l'opinione pubblica».
Poi l'appello alla città, alle istituzioni e alle forze politiche: «Teniamo bassi i toni. Siamo dentro una fase delicata, complessa, che richiede misura, consapevolezza e soprattutto senso del limite».
Nessun cenno, invece, alla richiesta, verbalizzata ieri da Liardo, ma arrivata anche da altri pulpiti dell'opposizione, di sfiducia dell'assessore alle Politiche sociali Jacopo Rosatelli, per avere preso parte al corteo, terminato in guerriglia, di sabato scorso. «Lavoro serenamente ai miei dossier», replica il diretto interessato. Ma, di fatto, a contestarlo è anche parte della sua maggioranza: «Fuori luogo la presenza di assessori nelle manifestazioni di odio nei confronti delle istituzioni. Chiediamo più responsabilità alle istituzioni che amministrano questa città», è l'affondo del capogruppo dei Moderati Simone Fissolo.
Ennesimo strappo interno alla - per alcuni già compromessa - coalizione Lo Russo.
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