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Il caso

Blackout, carenze d’acqua e investitori delusi: cosa succede alla smart city di Stefano Buono?

Dai sogni di innovazione urbana alle accuse di marketing ingannevole: la crisi di Planet Smart City tra proteste in Brasile, difficoltà finanziarie e incertezze sul futuro

Blackout, carenze d’acqua e investitori delusi: cosa succede alla smart city di Stefano Buono?

Stefano Buono

Nel mondo delle innovazioni urbane, le smart city ormai sono all'ordine del giorno in fatto di tecnologia. Ma in Brasile, per molti residenti dei quartieri intelligenti firmati Planet Smart City, il sogno si è trasformato in un incubo. Accuse di marketing ingannevole, disservizi cronici e un’ondata di procedimenti legali stanno mettendo in ginocchio l’azienda presieduta da Stefano Buono, imprenditore noto per le sue ambizioni nel campo del nucleare di quarta generazione.

Fondata nel 2015 da Giovanni Savio e Susanna Marchionni, Planet si era posta l’obiettivo ambizioso di costruire complessi immobiliari intelligenti nei Paesi con alto deficit abitativo, tra cui Brasile, India e Stati Uniti. Sotto la guida di Buono – già protagonista della vendita miliardaria di una società biotech – il gruppo sembrava destinato a diventare un unicorno da un miliardo di euro. Ma oggi, come riferisce Lo Spiffero in una sua inchiesta, il bilancio è ben diverso.

In Brasile, uno dei principali mercati di Planet, numerosi abitanti denunciano condizioni di vita precarie: acqua che arriva a singhiozzo, blackout frequenti, servizi promessi mai attivati. Le lamentele si sono riversate sui social, dove un profilo Instagram, “TheRealPlanetSmartCityBrazil”, documenta quotidianamente lo stato delle abitazioni. La risposta dell’azienda è stata rapida, ma anche inaspettata: una causa legale per danno d’immagine contro Elaine Corbeta, tra le promotrici della protesta, archiviata poi dalle autorità. Segno che le denunce non sono infondate, dopotutto. Ma il caso Corbeta è solo l'inizio della vicenda. Infatti, diversi procedimenti legali pendono sull’azienda.

Il declino di Planet Smart City si è articolato in tre fasi. La prima: il tracollo del valore delle azioni, passate da 2 euro a soli 50 centesimi. La seconda: il tentativo, poi fallito, di ristrutturare la società, arrivando a valutare l’apertura di una procedura per crisi d’impresa. La terza: una trattativa con il gruppo immobiliare olandese Breevast per un possibile ingresso nel capitale, naufragata anche a causa del valore delle azioni, ritenuto ancora troppo elevato malgrado il crollo.

Oggi, Planet si trova con un valore stimato di appena 90 milioni di euro, contro la previsione di 1 miliardo di pochi anni fa. E con 180 milioni di azioni già emesse, la fiducia degli investitori è ai minimi. I dati diffusi dall’azienda raccontano una storia parzialmente diversa: 11 progetti realizzati, 3.600 abitazioni già consegnate e altre 2.500 previste nel 2025. Ma rispetto alle promesse iniziali – 55 progetti, 290 milioni di fatturato nel 2024, e status di unicorno – il divario è netto. I numeri reali sollevano interrogativi sulla sostenibilità del modello Planet e sulla sua capacità di mantenere le promesse fatte a residenti e finanziatori.

La crisi di Planet non aiuta molto il futuro di Newcleo, la società nucleare fondata da Stefano Buono e presentata come la prossima frontiera dell’energia pulita. Se la parabola delle smart city è stata segnata da ambizioni gonfiate e risultati deludenti, ci si chiede se non si rischi di assistere a un copione simile anche nel settore energetico.

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