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ECONOMIA
19 Settembre 2025 - 14:30
Nel 2030 andare in pensione prima dell’età di vecchiaia sarà quasi impossibile. A dirlo è uno studio della Cgil, che fotografa la crescita costante della soglia necessaria per accedere all’anticipo pensionistico nel sistema contributivo.
Quest’anno il requisito è fissato a tre volte l’assegno sociale, pari a circa 1.616 euro lordi al mese. Tra cinque anni salirà a 1.811 euro (3,2 volte). Rispetto al 2022 si tratta di oltre 500 euro in più, spinti sia dall’inflazione sia dall’innalzamento dei parametri deciso dal Governo, che ha portato il moltiplicatore da 2,8 a 3 volte, fino a 3,2 nel 2030.
Secondo i calcoli della Cgil, per raggiungere questo livello sarà necessario un montante contributivo aggiuntivo di 128.354 euro, pari a circa 389 mila euro di retribuzioni complessive. Un obiettivo fuori portata per chi ha redditi bassi o medi.
Unica eccezione, le lavoratrici madri. Grazie alla Legge di Bilancio 2024, la soglia si abbassa a 1.508 euro per chi ha un figlio e a 1.400 euro per chi ne ha due o più. Nel 2030 il tetto ordinario sarà 1.811 euro, ma scenderà a 1.585 euro con un figlio e a 1.472 euro con due o più.
Un alleggerimento che, sottolinea il sindacato, non basta a garantire l’uscita anticipata: stipendi più bassi e carriere discontinue rendono comunque irraggiungibili i requisiti per gran parte delle donne.
Il Governo propone di utilizzare il Tfr per incrementare il montante e favorire il pensionamento a 64 anni (età che nel 2027 salirà con l’adeguamento all’aspettativa di vita). Ma la Cgil respinge la misura.
Secondo Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil, il Tfr non può essere trattato come una riserva da utilizzare per raggiungere la pensione anticipata, perché rappresenta a tutti gli effetti una parte del salario maturato dai lavoratori. Usarlo in questo modo, ha sottolineato, significherebbe ridurre garanzie già acquisite senza affrontare le vere criticità del sistema: la diffusione della precarietà e la stagnazione dei salari.
A dare concretezza a queste considerazioni sono i numeri presentati da Enzo Cigna, responsabile delle politiche previdenziali del sindacato. Con uno stipendio annuo di 8 mila euro, dopo quarant’anni di lavoro la pensione stimata non arriva nemmeno a 510 euro al mese. Con 20 mila euro si superano di poco i 1.260 euro, mentre persino chi guadagna la media del settore privato, circa 23.700 euro l’anno, resta sotto i 1.500 euro mensili: molto meno rispetto ai requisiti previsti per il 2030.
Nel frattempo il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon rilancia l’ipotesi del “silenzio assenso” per la previdenza integrativa, con adesione automatica dei neoassunti e possibilità di recesso entro sei mesi. Una proposta che incontra aperture nella Uil, ma solo all’interno di un confronto più ampio e con il rafforzamento dei fondi negoziali.
Il quadro tracciato dalla Cgil è netto: senza una riforma strutturale, la pensione anticipata resterà un’opzione riservata a pochi privilegiati. L’aumento delle soglie, unito a carriere frammentate e salari stagnanti, rischia di trasformare il diritto alla pensione in un obiettivo lontano per la maggioranza dei lavoratori, soprattutto donne e giovani.
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