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Il Borghese

John Elkann (quasi) come il nonno: ma il governo stavolta gli crede

Il presidente di Stellantis: "Per ogni euro incassato da noi, ce ne sono 9 di valore per tutto il Paese"

La novità, se vogliamo chiamarla così, che ci regalano è che senza Stellantis non ci sarebbe l’auto italiana. Considerando per quanto tempo Fiat ha agito da quasi monopolista, non è difficile crederlo. Ma John Elkann, in audizione in Parlamento, usa una ricerca economica della Luiss per sostenere la tesi che assomiglia un po’ al «ciò che è bene per Fiat è bene per l’Italia». Per ogni euro incassato da Stellantis, ce ne sono nove per il resto del Paese. Quindi, grazie Fiat (Stellantis)?

Se Tavares avesse detto una cosa simile - e quasi l’ha fatto, nei mesi scorsi - sarebbero venuti giù i muri di Montecitorio, ma stavolta - sarà anche per i modi - l’audizione ha convinto i membri del governo (a parte la Lega), ma non troppo i parlamentari d’opposizione, dal fumante (è uscito due volte dall’aula a fumare, anche mentre parla Elly Schlein) Carlo Calenda a Chiara Appendino (che però non era così dura quando era sindaca della Torino di Stellantis, anzi Fca all’epoca).

Stavolta Stellantis non ha chiesto incentivi per l’acquisto di auto nuove, ma ha lasciato cadere sul tavolo la questione energetica: «Fare una macchina in Spagna costa 516 euro, in Italia 1414 euro» e il costo dell’energia (oltre che del lavoro) «è il punto chiave» ha detto Jean Philippe Imparato, capo di Stellantis Europa Enlarged, rispondendo ad alcuni degli interrogativi rivolti a John Elkann. Il quale ha anche sottolineato che il Gruppo ritiene che «si possano raggiungere i vincoli ambientali, quelli sociali ed economici se uno non crea dei meccanismi che obbligano i clienti a comprare macchine che loro non vogliono». E a «chi ci governa chiediamo certezze per poter operare. L’obiettivo di quest’anno di riuscire a ottenere un 20% di macchine vendute elettriche è quello per cui ci siamo preparati». Ossia, fate una politica che "paghi le bollette".

Una audizione partita con il solito discorso da parte di Elkann sulla rilevanza di Fiat per l’Italia - sottolineato dal fatto che è arrivato davanti al Senato con il suo staff su auto “tricolori”: lui su una Maserati verde, seguito da una Fiat 500 bianca e infine un’Alfa Romeo rossa - e ha ribadito il Piano Italia, ossia quello dell’operatività per tutti gli stabilimenti, 2 miliardi di investimenti diretti e 6 per l’acquisto di componenti presso fornitori italiani. Il solito piano, dunque. D’altra parte, Stellantis non ha un ceo e al momento sta facendo aggiustamenti al piano del precedente, ossia Carlos Tavares.

«Mi dice quante auto pensate di produrre quest’anno e il prossimo? - ha detto Carlo Calenda, senatore di Azione - Davvero lei pensa che la Panda e la 500 bastino fino al 2030? Il piano che ci sta presentando oggi, sarà messo in discussione quando arriverà il nuovo amministratore delegato? Perché altrimenti stiamo giocando a racchettoni! Tanti impegni sono stati traditi in passato». «Purtroppo per noi è difficile credere alle parole di chi più volte ha promesso senza mantenere, credere a chi oggi produce più cassaintegrati che auto» è stato l’intervento di Chiara Appendino (M5S).

Nei corridoi della Camera, dopo che Elkann è andato via senza incontrare i giornalisti, tra le forze di governo si respira comunque soddisfazione: riallacciare i rapporti con Stellantis, portando qui Elkann, è già considerato un successo. «La nostra posizione è quella di apertura di fiducia, ma anche di vigile attesa affinché i piani illustrati si trasformino in realtà» sintetizza il senatore Luca De Carlo (Fdi), presidente della commissione Industria del Senato, appena fuori dalla Sala del Mappamondo che ha ospitato l’incontro. «Il nostro obiettivo è una politica industriale europea che abbia ricadute positive sulla nazione - ha aggiunto -. La crisi dell’automotive che stiamo vivendo è il frutto delle scelte di chi ha confuso transizione ecologica con quella ideologica, dimenticando l’economia». E il mercato, si può aggiungere.

Il mercato che dovrà essere la cartina di tornasole per Elkann: perché lui pensa di aumentare le vendite di elettriche del 20%, ma si tratterebbe di un livello che ancora non compenserebbe le cadute degli ultimi mesi. A meno che, in questo numero, si intendano le “elettrificate”, dunque anche le ibride, come la Fiat 500 per Mirafiori e altre che nasceranno sulle piattaforme multi-energy delle fabbriche torinesi. Ci saranno «dieci aggiornamenti di modelli» in questo anno, insiste Elkann.

Ma sul tavolo deve esserci una politica europea, appunto. Per far fronte a una «concorrenza molto capace», che è quella cinese, i cui costi energetici sono inferiori a quelli europei. E la questione della riconversione alla Difesa, come stanno ipotizzando in Germania, e come anche il ministro Urso ha suggerito? Se per Elly Schlein si tratta «solo di propaganda», per Elkann «Cina e Usa hanno un'importante industria bellica e un'importante dell'auto, quindi non è una scelta tra le due. Questi due paesi ci dimostrano che si possono avere due industrie forti. Il futuro dell'automotive non è l'industria bellica, ma quello che l'Ue deciderà in termini di politica industriale e dove dirà di mettere le risorse» (Exor po sembra voler procedere con la cessione di Iveco Defence).

Ciò che però non ha incontrato grandi favori è stata la prima parte dell’intervento di Elkann, basata su un rapporto dell’università Luiss, nel quale il nipote dell’Avvocato ha sottolineato che Stellantis, e prima Fiat, dà al Paese ben più di quanto abbia ricevuto in termini di incentivi, o cassa integrazione. Per lui si tratta di un bilancio dare/avere tra il Paese e l’azienda che non deve essere «più un tema divisivo, ma un’opportunità per continuare questo percorso». «Negli ultimi 20 anni il mercato domestico è calato del 30% mentre l’occupazione si è ridotta di circa il 20% - ha detto -. Significa che l’azienda ha difeso la produzione e l’occupazione degli stabilimenti del Paese grazie all’export dei marchi italiani, oltre alle Jeep prodotte in Basilicata, alle Dodge in Campania, ai van Citroen, Opel e Peugeot in Abruzzo e più recentemente alle DS a Melfi».

«Parole vergognose. Il suo gruppo è cresciuto grazie ai soldi degli italiani. Elkann dovrebbe scusarsi con i lavoratori e restituire loro i miliardi ricevuti» è una nota della Lega arrivata in serata. Alla fine, però, Elkann dà ragione proprio a Calenda: «È difficile sapere quanto produci se non sai quanto vendi... Ma facendo più prodotti avremo l’occasione di venderne di più».

Più che vigile attesa qui si chiede atto di fede... Una carta già giocata dal Gruppo, solo che stavolta il governo è d’accordo.

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