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L'analisi

Veleni e regolamenti di conti nella Dynasty degli Agnelli

Ecco perché John lascia la presidenza delle holding di famiglia. I guai della Juventus. La causa di Margherita

John Elkann e Andrea Agnelli

John Elkann e Andrea Agnelli (Depositphotos)

Quando al mattino la notizia di «John Elkann re senza corona» rimbalza dalle colonne di Milano Finanza - e del nostro sito -, negli ambienti economico-industriali-nobiliari di Torino la calma placida di agosto viene scossa brutalmente, più che da un downburst dell'uragano Poppea. Ekann non è più presidente. Ma di cosa? Di Stellantis? Oddio, che succede adesso? Se negli ambienti più vicini all’ex Fiat - grandi industrie ne hanno vissuto e ancora ci vivono - ci si guarda bene dall’avanzare commenti imprudenti, in altri salotti il chiacchiericcio si fa interessante. E chi pensa che la finanza viva solo di cifre esatte e non di rumors, o direttamente di gossip, beh sbaglia di grosso.

Ci sono fusioni saltate nelle camere da letto, proficui accordi stilati a pranzo e regolamenti di conti consumati allo stadio nella storia dell’economia. Ed è così che, nel florilegio dei “si dice”, ma guai a scrivere un nome, c’è anche chi per un attimo pensa che Elkann sia stato spinto a fare un passo indietro, a lasciare la guida di due holding strategiche a uomini di assoluta fiducia, che dovendo - come presidenti - relazionarsi in maniera stretta con i consigli d’amministrazione, e i loro umori, potrebbero diventare «controllori» del padrone, ossia il Ceo.

Il fulmine a cielo sereno non è tale perché gli avvicendamenti - non solo di Elkann, ma di diversi consiglieri - sono avvenuti sottotraccia, su volontà di John, una «volontà condivisa» come rimarcano da Exor, sulla lunga scia dell’uscita - eufemismo - dell’ultimo Agnelli, ossia Andrea, dalla Juventus, inseguito da accuse di acrobazie di bilancio, violazione della lealtà sportiva, processi in arrivo. La voce sussurrata in certi ambienti era sempre stata una sola: per tenersi stretta la Juve - in attesa di un socio di minoranza pieno di petroldollari -, John doveva tirare via il cuginetto e alcune sciagurate figure di suoi uomini, ché se fosse stata una boita avrebbero già portato i libri in tribunale. E di fare un altro aumento di capitale, con soldi propri, per ripianare la malagestione, Exor non aveva voglia, anche perché a tenerla d’occhio in Stellantis è la parte francese, ben più pesante. Stellantis dove John è presidente, ma è Tavares l’uomo esecutivo. E per fortuna, parlando entrambi portoghese, sembrano andare perfettamente d’accordo.

I nuovi obietti di Elkann

La salute, le miniere d'oro e anche l'auto elettrica sono i business del futuro

Salute e oro. Ecco i nuovi scenari degli investimenti - e relativi profitti - dei prossimi anni di Exor. A cominciare da 2,6 miliardi di euro investiti in Philips, di cui Exor ha rilevato la quota del 15%, lasciandosi aperta una porta per arrivare fino al 20. Ma attenzione: non si tratta di lampadine o elettrodomestici, la divisione del gruppo olandese che interessa a John Elkann è quella “sanitaria”. «Sentiamo una forte affinità con l’assistenza sanitaria e i primi risultati dell’investimento di oltre 800 milioni di euro effettuato lo scorso anno nel gruppo sanitario francese Institut Mérieux hanno rafforzato la nostra convinzione sull’importanza di questo settore e sul suo potenziale di crescita» ha detto per esempio nei giorni scorsi al quotidiano economico americano Financial Times. L’investimento di 2,6 miliardi di euro nel conglomerato olandese Philips fa dunque parte di un’evoluzione naturale della holding familiare, che concentra gli investimenti nei settori della salute, della tecnologia e del lusso. E poi c’è l’altro grande fronte, quello di Lingotto, la nuova società da poco costituita e basata a Torino, proprio nell’ex stabilimento. E, nomen omen, la società punta di filato sull’oro. I vertici, infatti, a fine giugno hanno messo oltre 104 milioni di dollari nelle azioni della sudafricana Harmony Gold Mining. E altri 62,6 milioni li hanno messi sulla texana Novagold, che ha riavviato le ricerche sui giacimenti Alaska. A pochi mesi dal varo a Londra con una maxi-dotazione da 3 miliardi di dollari, e dopo aver assoldato due nomi pesanti come il finanziere James Anderson e l’ex cancelliere dello Scacchiere George Osborne, adesso Lingotto svela anche i suoi investimenti in America, che alla fine del secondo trimestre valevano praticamente la metà del patrimonio: 1,5 miliardi di dollari. Dentro c’è di tutto: pharma, sanità, tecnologia, materie prime, fintech, auto. C’è perfino la Tesla, di cui la sgr inglese di Exor possiede azioni, poco nei 782 miliardi del colosso di Elon Musk, ma è pur sempre un diretto concorrente di Stellantis nell’auto elettrica.

Molto più che in famiglia, in questa dynasty degli Agnelli-Elkann che ha ancora come spada di Damocle la contesa legale di Margherita Agnelli contro i suoi figli per il controllo della Dicembre, la vera cassaforte di famiglia, con l’eredità di Marella che avrebbe saltato un passaggio, anzi cinque: i figli di secondo letto di Margherita, cui bisognerà dare un futuro. Ora, in particolare, visto che la bottega decotta di un tempo è una miniera d’oro: ricorda il Financial Times che sotto la guida di Elkann, Exor ha aumentato il suo patrimonio netto da circa 4 miliardi di euro nel 2009 ai 33 miliardi di euro di quest’anno, mentre le azioni Exor sono passate da quote a una cifra agli attuali 80 euro per azione.

Elkann stesso, al medesimo quotidiano, ha ricordato che nei primi dieci anni dopo la morte dell’Avvocato si è pensato solo a salvarsi, concentrandosi «sulle dismissioni, sulla semplificazione e sulla riduzione del debito per assicurarci che ciò che avevamo potesse essere salvato». Dopo, bisognava consolidare, con Marchionne in sella a Fca e l’imperativo di dover sempre garantire dividendi d’oro alla lunga fila di eredi - nella holding di famiglia, Giovanni Agnelli BV, i soci sono un centinaio.
Il futuro? «Non c’è certezza su ciò che ci aspetta. Ciò che è chiaro per noi è il nostro scopo, che è quello di costruire grandi aziende con grandi persone».

Con nuove visioni di business dove l’auto è una questione che si deve sbrigare Stellantis, evidentemente. E il ruolo della famiglia? La dinastia è diventata sicuramente meno comunicativa, dopo la morte dell’Avvocato. John preferisce parlare di finanza. Suo fratello Lapo - che ieri non ha risposto a una richiesta di commento sui business di famiglia - è diviso fra guai negli affari e la sua fondazione benefica. Nessun commento anche da Andrea Agnelli, che risulta in vacanza e che non ci è stato possibile contattare. E Torino? Aspetta. Come ha sempre fatto, confidando nella magnanimità del sovrano.

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