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Il Borghese
04 Novembre 2025 - 06:50
									Li chiamiamo “maranza” con la stessa abitudine con cui per molto tempo abbiamo parlato di baby gang. Ossia con il rischio di generalizzare delle forme di violenza includendovi tutto ciò che è simile: con le gang, per dire, a un certo punto i cronisti si trovavano a parlare di criminali più che maggiorenni, giovani ma comunque non minorenni, certo non “baby”. E così, aumentando il numero e allargando i confini, il fenomeno veniva svalutato, impedendo di prendere contromisure.
“Maranza” è un termine che nasce a Milano già negli anni ’80. Si può accostare a tamarro, persino a coatto, indica quei giovani che girano in gruppo facendo casino, in ogni senso... Forma di aggregazione giovanile che finisce per confondersi con il branco. Oggi i maranza sono, più che gang, tribù metropolitane dove a dominare è l’ascendenza: sono italiani di seconda generazione, per la maggior parte, ragazzi delle periferie che agiscono in centro. Dal punto di vista sociale, niente di nuovo. Sono riconoscibili dal loro look, dalle mosse, dal linguaggio. Dalla rabbia, avvertono i sociologi. Una forma di emarginazione che viene coperta da codici loro, da regole, dove si “flexa”, come a dire che si mostrano i muscoli, si mette in evidenza qualcosa, che sia tramite i borselli di Gucci come le tute, anche della Juve o gli abiti firmati; c’è il legame di strada e di gruppo, c’è il “bae”, ossia l’amico. E c’è la violenza che spesso esplode.
C’è chi vuole indicare, qui, il pericolo del fuoco delle banlieue parigine e assaggi ne abbiamo avuto con la partecipazione a manifestazioni anche recenti. Ma se azioni e contesto — soprattutto social — sono diversi, il vuoto sembra riecheggiare lo stesso della morte seminata senza senso, tanti anni fa, da quel gruppo di ragazzi che lanciava sassi dal cavalcavia della Cavallosa, sull’autostrada. All’epoca ci sorpresero come un fenomeno mai visto. Oggi, lo vediamo arrivare.
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