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L’Italia invecchia e lavora di più, ma resta più povera

Il nuovo Rapporto Istat: meno figli, più over 80, salari reali in calo, produttività ferma. E le imprese temono il ricambio generazionale

L’Italia invecchia e lavora di più, ma resta più povera

L’Italia è un Paese più anziano, più istruito, con un numero crescente di occupati, ma dove il lavoro non basta più a garantire benessere economico. È questa la fotografia scattata dal Rapporto annuale Istat 2025, che mette in evidenza le grandi trasformazioni sociali ed economiche in atto: l’invecchiamento della popolazione, l’evoluzione del mercato del lavoro, la perdita di potere d’acquisto e il rallentamento della produttività.

Più over 80 che bambini

Il dato più simbolico – e più preoccupante – è demografico: nel 2024 i cittadini over 80 hanno superato i bambini under 10. Gli ultraottantenni sono ormai 4,6 milioni, mentre le nascite hanno toccato un nuovo minimo storico con appena 370mila neonati. Una dinamica che mette a dura prova l’equilibrio del sistema di welfare, il futuro delle pensioni e la capacità produttiva del Paese.

Salari reali ancora sotto i livelli pre-Covid

Nonostante l’aumento dell’occupazione, i salari reali non hanno ancora recuperato la perdita dovuta all’inflazione. A fine 2024 le retribuzioni contrattuali reali erano ancora inferiori del 10,5% rispetto al 2019. Se si considerano le retribuzioni effettive, che includono contratti integrativi e cambi nella composizione dell’occupazione, il calo si riduce al 4,4%. Ma il potere d’acquisto degli occupati – guardando agli ultimi vent’anni – è comunque diminuito del 7,3%.

Eppure, in media, il reddito familiare equivalente è cresciuto del 6,3% tra il 2004 e il 2024. Come? Grazie a una serie di fattori: l’aumento del numero di lavoratori per nucleo familiare, la riduzione delle famiglie con figli e la maggiore diffusione della proprietà dell’abitazione. In sostanza, le famiglie hanno reagito lavorando di più e diventando più piccole.

Lavoro in crescita, ma nei settori meno produttivi

Nel 2024 si sono aggiunti 352mila nuovi occupati, anche se il ritmo è rallentato rispetto al 2023. L’80% dell’incremento ha riguardato gli over 50, per effetto dell’invecchiamento della popolazione attiva e della stretta sui pensionamenti anticipati. Il lavoro è cresciuto soprattutto nei settori a bassa produttività e ad alta intensità di lavoro, come turismo e ristorazione, che hanno trainato la ripresa ma non la competitività.

Il paradosso è chiaro: più lavoro, ma meno produttivo. E mentre le aziende faticano a trovare personale giovane qualificato, la produttività media per occupato si contrae, frenando la crescita complessiva del Paese.

Giovani più istruiti, ma l’ingresso nel lavoro si allontana

Un altro aspetto emerso dal Rapporto riguarda l’istruzione: gli anni medi di studio sono in aumento, segno positivo di un capitale umano in crescita. Tuttavia, l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro è sempre più posticipato, e l’Italia resta indietro rispetto ai principali partner europei in termini di occupazione giovanile e formazione continua.

Il quadro tracciato dall’Istat restituisce l’immagine di un’Italia che cambia, ma non sempre in meglio. L’invecchiamento accelera, la produttività ristagna, i salari faticano a riprendere quota. Eppure crescono l’istruzione, l’occupazione e la resilienza delle famiglie.

Il rischio maggiore? Un ricambio generazionale bloccato, in cui pochi giovani entrano e molti anziani restano al lavoro. In un contesto del genere, la transizione demografica non è più solo una questione di natalità, ma un nodo strategico per la sostenibilità sociale ed economica del Paese.

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