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le nuove versioni

Taylor Swift e il paradosso del tempo, riscrivere il passato, per rivendicare il presente, ma quanto funziona?

Con le “Taylor’s Version”, la popstar ha trasformato una battaglia contrattuale in un atto di riscrittura emotiva e artistica. Ma ogni nuovo inizio porta con sé anche qualche perdita

Taylor Swift e il paradosso del tempo, riscrivere il passato, per rivendicare il presente, ma quanto funziona?

Nei film sui viaggi nel tempo c’è una regola non scritta: non cambiare il passato. Eppure, Taylor Swift lo ha fatto – e consapevolmente. Dal 2021 ha iniziato a ri-registrare i suoi primi sei album in studio per riappropriarsi della propria musica. Ma la sua impresa è andata oltre la rivendicazione contrattuale: è diventata una riscrittura di sé, della propria carriera e della propria memoria pubblica.

Con milioni di fan pronti a seguirla in ogni era, Swift ha compiuto un gesto inedito su così larga scala. Le Taylor’s Version non sono semplici copie: sono dichiarazioni d’intenti. Hanno svalutato gli originali per valorizzare l’autrice. Ma nel processo, ogni piccola modifica ha cambiato qualcosa nella storia che raccontano.

Un esempio? If This Was a Movie, oggi parte di Fearless (Taylor’s Version), in origine uscì due anni dopo in Speak Now (Deluxe). Niente fratture temporali, ma un riordino sottile e significativo. Swift ha rivisitato il passato con la lucidità dell’esperienza. E in Speak Now (Taylor’s Version) quella canzone scompare: era l’unica scritta con un co-autore, Martin Johnson. Non combaciava con il messaggio di indipendenza che Swift voleva riaffermare.

Altrove, le modifiche sono più evidenti. In Better Than Revenge, il verso originario “She’s better known for the things that she does on the mattress” è stato riscritto. Un modo per allinearsi all’immagine attuale, ma che toglie un tassello a quel racconto grezzo e sincero che legava Swift al dibattito su sessismo e femminismo.

Al contrario, Red (Taylor’s Version) ha aggiunto parole. La nuova All Too Well dura 10 minuti, con versi come “Fuck the patriarchy” che aprono dubbi: scritti allora o dopo? Forse non importa: Swift non stava seguendo regole. Le stava creando.

La produzione dei remake, affidata a Jack Antonoff e Christopher Rowe, ha sostituito nomi storici come Max Martin. Il suono è più levigato, ma spesso meno emotivo. La voce di Swift è cambiata, così come il suo stile. Alcune versioni sembrano mancare di quel pathos adolescenziale che le rendeva iconiche.

Reputation è l’unico album che Swift fatica a rifare. Ha registrato meno del 25% della Taylor’s Version, frenata dal carico emotivo. “È molto legato a quel periodo della mia vita”, ha detto. Riuscirebbe oggi a interpretare davvero la vecchia Taylor, tanto odiata quanto vulnerabile?

L’unico luogo dove originale e rifacimento si fondono è l’Eras Tour. Lì si cantano tutte le versioni, ognuno con la propria preferita. Alcuni fan hanno scoperto Swift solo con le nuove release. Per altri, quei brani risuonano da anni, e ne sentono l’assenza nei remake.

Come nei film sul tempo, arriva il momento dei titoli di coda. E Swift potrebbe chiudere cantando: “Nothing’s gonna change, not for me and you”. Ma mentre leggete queste parole, vi viene in mente la versione vecchia… o quella nuova?

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