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Il restroscena

Cristina Seymandi va dall’avvocato e gli haters dei social rischiano di pagare i danni

La manager ha scelto Claudio Strata e valuta se fare causa a Segre e a chi l’ha insultata sul web

Una guerra?

Come quella dei Roses

“Parole d’amore scritte a macchina”, diceva Paolo Conte traducendo in versi accompagnati dalle note il verbale di un processo di separazione tra una coppia arrivata al capolinea molti anni fa. «La nostra storia in quattro pagine che, raccontata, ci può perdere», cantava lo chansonnier astigiano, che prima del successo sul palco faceva l’avvocato. E chissà cosa potrebbe scrivere, una penna affilata come la sua, su questa storia dell’estate torinese, con una coppia che alle nozze non è arrivata ma ora - come quella là -  potrebbe incontrarsi di nuovo in tribunale. Cristina Seymandi l’aveva detto: «Penserò se dovrò tutelarmi nelle sedi civili e penali».

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E per ragionarci sopra, valutando i pro e i contro di una eventuale azione nei confronti di Massimo Segre, si è rivolta a un avvocato, Claudio Strata, affermato penalista noto al grande pubblico per aver difeso Alex Pompa ma che nel suo curriculum ha processi di ogni genere, molti con protagonisti i cosiddetti “colletti bianchi”.

CLAUDIO STRATA

«Tuteleremo la mia assistita, la figlia e la madre in tutte le sedi opportune», si limita a dire. Confermando soltanto che «sì, stiamo valutando tutte le situazioni, compresi gli insulti rivolti sui social alla dottoressa Seymandi, alcuni dei quali vergognosi». E basta scorrere qualsiasi notizia rilanciata su Facebook per capirne il tenore. Con il popolo dei leoni da tastiera che si è scatenato, in qualche caso anche nel profilo della stessa manager, che è stata costretta suo malgrado a limitare i commenti. Molti sono irripetibili. Tanti, sempre che l’identità digitale corrisponda a quella reale, vergati da donne.

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Un’azione contro di loro, al momento, è soltanto una ipotesi. Ma se la querela dovesse partire i maestri (e le maestre) dell’odio da tastiera rischiano di dover pagare i danni. Una conseguenza che, in quel mezzo minuto che serve per pigiare qualche tasto rendendo pubblici i propri pensieri, in pochi tengono nella dovuta considerazione. Pensando che sia come al bar, dove si chiacchiera e si dicono le cose peggiori, con freddure e battute irripetibili che invece, una volta finite sul web, restano impresse nelle memorie virtuali. Con tanto di dati e codici che rimandano a chi le ha scritte. Anche se si è creato un profilo che, in apparenza, sembrerebbe perfetto per non renderci identificabili.

L’anonimato, a meno che non si sia esperti hacker, nel mondo di Internet, nonostante ciò che in molti pensano, in maniera superficiale, non esiste. E anche cancellare le “prove” è assai difficile, visto che i “neuroni” dei server conservano assai meglio, e molto più a lungo dei nostri, ogni tipo di azione. Meglio farsi furbi allora, frenare gli impulsi che in tanti non riescono a controllare, chiusi nelle loro camerette. Una volta fatto, il danno resta. Il conto può essere salato. E una volta che si è finiti nei guai, è inutile chiedere aiuto all’intelligenza artificiale. 

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