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L'intervista
30 Agosto 2023 - 20:57
Raffaele Ruberto e Chiara Appendino
Il prefetto Raffaele Ruberto va in pensione, saluta e replica a Marco Lavatelli, il marito di Chiara Appendino: «Dice che Torino è come Caracas? Non è così, i reati sono in calo. Ma, se qualcuno la pensa così, dobbiamo tenerne conto e comunicare meglio come garantiamo la sicurezza».
Oggi Ruberto ha salutato i principali vertici istituzionali e domani chiuderà la carriera accogliendo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Sono fortunato e onorato», sorride il prefetto, che lascia la città dopo due anni alla guida dell’organo di governo locale.
«Torino è una capitale, non solo per la sua storia. Lo è anche per le sue complessità da realtà metropolitana: al mio successore (ancora da nominare, N.d.R.) consiglio di non farsi ingannare dall’eleganza del centro e di fare attenzione a cosa succede nelle periferie e nei comuni della provincia». Cioè le zone che danno più problemi: «Sono quelle dove c’è la maggior parte degli stranieri, che ormai sono il 15% dei torinesi. Io, in linea con le direttive il Ministero dell’Interno, mi ci sono dedicato tanto. Abbiamo organizzato molte operazioni ad alto impatto in Barriera di Milano, Aurora, Mirafiori, via Nizza: quest’anno abbiamo controllato 14mila persone, con 45 arrestati e 155 denunciati». Spesso arriva da quelle zone chi commette furti e spaccate in case e negozi, una delle piaghe di questi anni in città: «Sono fenomeni a strascico, che toccano a tappeto una strada o un quartiere». Come via Cibrario, secondo Mr Appendino diventata peggio di Caracas.
«Fa sorridere - premette Ruberto, che poi torna serio - I dati sono confortanti: c’è stato un aumento dei reati predatori fra 2021 e 2022, con un 6% in più in provincia e del 9% in città. Ma c’è stato un calo rispetto al 2019 e un abbattimento rispetto al 2011: Torino era un’altra città. Ma dobbiamo tenere conto se la gente ha una percezione diversa, anche a causa della maggiore diffusione dei social. Quindi dobbiamo essere noi più bravi a far vedere le divise, a comunicare i risultati del loro lavoro e a intercettare il pensiero del torinese medio».
Ruberto riflette anche sul tema della movida, che «va governata senza combattere contro i mulini a vento». E si sofferma su di un’altra piaga torinese, la baby gang: «E’ un fenomeno più contenuto rispetto ad altre città ma non è più gestibile e va seguito con attenzione: a Torino sono stati censiti circa 250 giovani coinvolti nelle baby gang, con un numero enorme di denunce anche per i minorenni. Ma serve un approccio a 360 gradi: oltre alla repressione, bisogna lavorare sulla prevenzione insieme alla scuola, ai Comuni, ai servizi sociali per prendersi cura di questi ragazzi, che sono sia italiani sia figli di stranieri».
Ora l’immigrazione fa paura per i tanti sbarchi, con 10mila persone accolte nel 2023, i centri di accoglienza al collasso e la corsa ai nuovi hub: «Mi sorprendono le polemiche, anche perché non c’è ancora una sede per il nuovo hub. Arriverà entro il 30 settembre, quando dovremo “restituire” via Traves alla Città». Intanto si spera che gli sbarchi diminuiscano: «Sì, ma serve un centro di smistamento. E servirà anche il Cpr, che sarà praticamente ricostruito e dovrebbe riaprire nel 2024». Non è preoccupato per le reazioni che stanno già arrivando da politici, associazioni e residenti? «Non c’è correlazione fra sbarchi e reati. E i manifesti spuntati in via Traves hanno anche connotazioni positive: sarebbe giusto creare le condizioni per cui i migranti non debbano lasciare i loro Paesi. Come successo agli italiani in passato».
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