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il caso

L'agonia degli operai Stellantis: «Lavoro? Qui solo buonuscite per sloggiare»

I drammi dei lavoratori davanti ai cancelli ex Fiat. Presenti anche i dipendenti Lear

Gli operai davanti ai cancelli Fiat di Mirafiori

Gli operai davanti ai cancelli Fiat di Mirafiori

«Sono arrivato in Fiat nel 1989, proprio tra queste porte di corso Settembrini. Eravamo 12mila persone. Ora? Siamo 860. L’ultimo motore prodotto qui era quello della Bravo, nel 2008. Delle auto elettriche abbiamo paura, perché a causa loro non faremo più nulla. Unico incentivo, soldi se te ne vai. E cassa integrazione. Poi ci prendono in giro: arrivano lavoratori da Cassino, Pratola Serra, ma non per aumentare il numero dipendenti. Vengono a sostituire i macchinari. Davvero, i macchinari non li aggiustano. Gli operai in trasferta diventano forza lavoro e ne sostituiscono l’operato. Almeno facessero lavorare noi. Nulla di personale, ma con la gente (del posto) ferma, che motivo c’è di portare operai da fuori?», si sfoga Stefano Napolitano, operaio e rappresentante sindacale Fiom. Lui è certo che la rovina dell’azienda sia John Elkann. «Troppi soldi a disposizione con nessuna competenza. Poi, parliamoci chiaro, una 500 a 40mila euro, ma chi se la può permettere?».

Stefano Napolitano, metalmeccanico e rappresentante sindacale per Fiom

LEAR: NESSUNA PROSPETTIVA

La sua è una delle voci arrivate dalla manifestazione di stamane organizzata da Sinistra ed Ecologia e i verdi, mille persone fra lavoratori, sindacalisti, politici che hanno fatto il giro letteralmente dell'enorme complesso. A ogni tappa, di fronte alle Carrozzerie, alle Meccaniche, al nuovo hub delle batterie, si sono ascoltate le testimonianze.

Non solo dei lavoratori di Stellantis, anche di quelli dell'indotto: alcuni operai di Lear, azienda che produce sedili per automobili e aveva Maserati come unico committente fino alla chiusura dello stabilimento di Grugliasco, descrivono una situazione «senza domani», come Sara, operaia 50enne che lavorava nello stabilimento di Grugliasco e che si ritrova a incontrare figure che dovrebbero avviarla a un nuovo inizio professionale: «L’azienda spende soldi per portare dentro agenzie che ci incanalano verso agenzie interinali, ci insegnano a fare un curriculum. A me, che da 28 anni faccio questo lavoro. Siamo onesti, dopo tutto questo tempo, dove devo andare? La mia unica prospettiva si chiama Naspi. Nemmeno gli incentivi danno a noi di Lear a differenza loro, per andarcene», continua Sara riferendosi ai lavoratori Stellantis.

Per i 420 dipendenti, progetti non ce ne sono più, dicono. «Ci rimane solo la GranCabrio. Sedili per una decina di vetture». Gli operai a novembre e dicembre 2023 avevano protestato con diversi picchetti, alcuni anche notturni. «Per ottenere un anno di cassa integrazione. Onestamente, la storia dei cinesi - quelli della Leapmotor, ndr - per me è una favola: perché sarebbe meraviglioso se davvero comprassero, per noi che lavoriamo solo per Stellantis, insomma finiremo a fondo con loro».

E Domenico, che da 21 anni ogni mattina va in corso Allamano, è convinto che da questa crisi non ne usciranno. «Parlano di un probabile progetto nuovo legato a Maserati nel 2028, ma sono storielle secondo me, giusto per tenerci buoni».

Domenico Ciano: "Per noi, nessuna speranza"

TORNARE IN CATENA DI MONTAGGIO

Giacomo Zulianello è da due anni a Mirafiori e prima lavorava in Bertone, dal 1994. Ha vissuto la lotta per evitare la chiusura della fabbrica di corso Allamano e adesso gli sembra di ritrovarsi in un triste deja-vu: «Dentro Mirafiori c’è un clima di agonia, la stragrande maggioranza dei lavoratori ha intorno ai 55 anni e i più giovani sui 40. In 6 anni saremo tutti in pensione. Se nel frattempo non arriva una produzione di massa che possa assorbire altre persone… un modello nuovo non lo faranno certo con noi "vecchi". Questa fabbrica si auto-spegne e loro ne escono come quelli che non hanno licenziato nessuno anzi passano come benefattori su tv e giornali. Noi chiediamo di tornare a lavorare in catena di montaggio. Assurdo eh?».

I DANNI NON SONO SOLO ECONOMICI

In diversi lavoratori mentre si sfogano parlano di depressione, attacchi di panico e ansia. Come Luca, nome di fantasia perché preferisce restare anonimo. «Sono sincero, la mattina mi sveglio, maledico di aver aperto gli occhi. Ho due figli che non riesco più a guardare in faccia. Sto andando in terapia (psicologica)». A Luca, quasi 60 anni, hanno offerto una buonuscita per licenziarsi. Luca parla con gli occhi lucidi: «Poche decine di migliaia di euro. Manco il mutuo estinguo. Dove vado a 60 anni? Troppo giovane per la pensione e vecchio per ricominciare… ».

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